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Test genetici e gravidanza: quando farli

Prima del concepimento è utile una consulenza genetica per escludere di essere portatori di malattie rare come l'anemia mediterranea. I consigli dell'esperta Faustina Lalatta

Dal medico genetista

Dal medico genetista

Il percorso che una coppia imbocca quando decide di avere un figlio prevede non solo l’adozione di comportamenti più sani (soprattutto per la donna), ma anche una tappa, fortemente consigliata, dal medico genetista. È lui, infatti, che consiglierà alla futura mamma e al futuro papà di sottoporsi o meno a test genetici in base alla familiarità.

Come ci spiega Faustina Lalatta, responsabile dell’Unità di Genetica Medica presso la Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano, la prima consulenza riguarda l’anamnesi familiare, ovvero la raccolta di informazioni sullo stato di salute (presente e passato) dei membri della famiglia per individuare se esistono malattie con caratteristiche ereditarie o dei fattori predisponenti per determinate patologie.

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Dopo l’anamnesi familiare, al genetista spetta il giudizio clinico, che determina la necessità o meno di fare degli esami (per esempio, se ci sono casi di talassemia in famiglia, si consigliano test specifici per capire sei i futuri genitori sono portatori sani della patologia), ma anche se alla coppia non viene segnalata alcuna familiarità, può decidere di sottoporsi a degli esami genetici volontariamente.

Anamnesi familiare

Anamnesi familiare

L’anamnesi familiare è molto importante per individuare i fattori di rischio per malattie genetiche. Quello che viene richiesto alla coppia da parte del genetista è la costruzione dell’albero genealogico dei familiari più vicini, cioè genitori, fratelli o sorelle, nonni, zii e cugini. «Andare oltre ai bisnonni e verso parenti molto lontani, è inutile» spiega l’esperta.

Quali informazioni vanno raccolte?

«Prima di tutto, la coppia deve indicare, tra chi è in vita, se c’è qualcuno affetto da malattie progressive (per esempio se qualche parente è in sedia a rotelle, ha patologie neurologiche, sordità, cecità, malformazioni o ritardo mentale), mentre tra i parenti morti deve indicare età e causa. Tra le donne della famiglia, poi, deve segnalare eventuali aborti multipli e, tra i bambini, se ce n’è stato qualcuno che è morto da molto piccolo e perché. Infine, la coppia deve comunicare se in famiglia ci sono già delle malattie genetiche diagnosticate, come l’anemia mediterranea, la fibrosi cistica, l’atrofia spinale o la distrofia muscolare. Questa ultima parte è fondamentale, perché nel caso ci sia familiarità, i futuri genitori dovrebbero sottoporsi ai test per capire se sono portatori sani della patologia» sottolinea Lalatta.

Focus sull’anemia mediterranea

Focus sull'anemia mediterranea

L’anemia mediterranea, o talassemia, è una patologia con grande incidenza tra la popolazione dell’area mediterranea ed è la forma di anemia più comune, il cui principale effetto negativo è una minor produzione di emoglobina e globuli rossi nel sangue rispetto al normale. Lo screening completo per la diagnosi della talassemia è stato esteso gratuitamente a tutta la popolazione in periodo pre-concezionale con il Decreto Ministeriale Bindi del 1998, quindi è consigliabile che qualsiasi coppia, anche in assenza di familiarità, lo faccia. Di seguito, analizziamo dei casi specifici con l’esperta.

La futura mamma è portatrice sana, cosa deve fare il partner?

«Lo screening completo per identificare se anche lui è portatore, cioè emocromo ed elettroforesi dell’emoglobina. Con l’emocromo la sicurezza che il partner non sia portatore è “limitata” al 98 per cento, mentre con l’elettroforesi la percentuale di sicurezza sale al 99,5 per cento. Se il partner in questi due esami presenta parametri normali, il rischio della coppia di trasmettere la talassemia ai figli è nullo: al massimo, potrebbero essere portatori sani» specifica Lalatta.

Sia la futura mamma, che il futuro papà sono portatori sani, cosa fare?

«Devono recarsi presso un centro di genetica medica perché devono decidere se sottoporsi all’analisi del Dna, individuare la mutazione genetica e, con questo strumento, eventualmente fare il test in gravidanza, cioè la diagnosi pre-natale. Questo perché sono una coppia ad alto rischio di avere un figlio talassemico» spiega l’esperta. Prima che inizi la gravidanza, infatti, una coppia di portatori sani «deve avere tutto il tempo di decidere se vuole sottoporsi la diagnosi pre-natale e se, una volta fatta, sarebbe o meno intenzionata a interrompere la gravidanza nel caso di malattia del bambino, ma anche se le informazioni che hanno sulla patologia sono sufficienti oppure sono necessarie altre consulenze, magari sulle nuove terapie disponibili per curare la talassemia».

Può nascere un bimbo portatore sano di talassemia da una coppia di non portatori?

«In linea generale, no. Quando accade ci si trova quasi sempre di fronte a un caso di non paternità».

Test genetici volontari

Test genetici volontari

La consulenza con il medico genetista permette di determinare la familiarità della coppia verso certe patologie e proporre dei test specifici, ma alcuni esami genetici possono essere anche scelti volontariamente dai futuri genitori. «Una coppia sana, senza nessuna familiarità o casi particolari, ha un rischio del 3% di avere un figlio con un difetto congenito, cioè malformazioni, malattie ereditarie o anomalie cromosomiche» spiega Lalatta.

La scelta dei test

Valutato il rischio, «il genetista chiede alla coppia se vuole sottoporsi volontariamente ai 3 test genetici per identificare lo stato di portatore per le patologie ereditarie più frequenti, cioè fibrosi cistica, l’atrofia spinale e l’X fragile, dando per scontato che lo screening per la talassemia sia già stato fatto. Questo “pacchetto” di 3 esami è il cosiddetto pannello base, ma ci sono anche pannelli da 7 esami, in cui è compresa anche la distrofia muscolare e la sordità, fino ad arrivare a quelli di 70».

Quanti test fare

Chi decide di fare così tanti test? «Generalmente, sono quelle categorie di persone che si rivolgono ai centri sterilità per l’ovodonazione, cioè coppie che non riescono a concepire un bambino e non vogliono incorrere in malattie che non appartengono alla loro famiglia. Di solito, 1 coppia su 5 decide di ricorrere a test genetici volontariamente e preferisce il pannello di 3 esami, quello che anche io considero più ragionevole. Sottoporsi a 70 test o più, oltre che essere oneroso dal punto di vista economico, può generare anche eccessiva ansia per possibili esiti dubbi» conclude Lalatta.

Giulia Masoero Regis

 

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