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«Sono piccola, ma pure sempre donna»

Con le iniezioni di ormoni quotidiane Martina ha forzato lo sviluppo sessuale, frenato dalla sindrome di Turner, malattia che colpisce solo le donne. Ma alla maternità ha dovuto rinunciare.

Non avrei certo questo aspetto se non ci avessi lavorato tanto, ogni giorno e per molti anni. Almeno, non con la sindrome di Turner (SCOPRI qui). Me lo sono guadagnato, con la fatica di sopportare le visite, i controlli, le iniezioni di ormone della crescita sin da quando avevo 3 anni. E si sa, ai bambini le siringhe non piacciono, non riescono a capire perché invece è importante sopportarle. E’ come se fossi cresciuta, nel vero senso della parola, ‘dentro’ a questa sindrome, imparando prima a capire che cosa fosse, poi ad accettarla e, infine oggi a 27 anni, a sentirmi donna a modo mio. Da bambina ero proprio piccolina: è stato così che mia mamma, insieme alla pediatra, vedendo una crescita in altezza molto scarsa ha cercato la diagnosi, con l’analisi del cariotipo. X0, adesso so cosa significano questi caratteri perché lavoro come ricercatrice all’Università di Bologna, sulle cellule staminali. Forse ho scelto di laurearmi in biotecnologie proprio per questo, per capire i geni, le cellule e tutti quei meccanismi microscopici che possono innescare le malattie, anche la mia. E soprattutto contribuire a trovare, chissà, una cura. Ma quando ero bambina il termine ‘X0’ non mi diceva proprio nulla. Sapevo solo che dovevo fare le punture per diventare più alta e, dopo qualche anno di resistenze, ho imparato a farmele da sola. Intanto, i miei compagni di classe crescevano ma io no, ed è chiaro che mi prendessero un po’ in giro, come normalmente fanno con chiunque sia diverso dagli altri. Ci ho fatto anche l’abitudine.

La pubertà è stato il mio ‘fulmine a ciel sereno’. Fino a quel momento credevo di avere solo un problema di statura, addirittura contenuto grazie alle terapie costanti. Invece nei primi anni delle superiori i medici mi hanno comunicato che avrei dovuto iniziare un’altra cura, quella con gli estrogeni, per favorire uno sviluppo sessuale. Non ci avevo mai pensato al significato di femminilità, prima di allora. L’ho scoperto in fretta, tra i banchi di scuola, a fianco delle amiche che avevano le mestruazioni, il seno e il corpo che, poco alla volta, iniziavano ad assumere forme femminili, e per di più spontaneamente. Io no, lo dovevo ‘forzare’ questo sviluppo e mi trovavo a fare i conti con questo sentirmi una donna ‘a metà’. Perché sapevo, fin da subito, che non avrei potuto avere figli: te lo dicono quando sei ancora in un’età da cui l’idea di maternità è parecchio lontana. Dai ragazzi mi tenevo a distanza, mi faceva paura avere una storia, un coinvolgimento sentimentale e un possibile rifiuto, se avessi rivelato di avere questa rara sindrome. Con gli anni le cose sono andate meglio, ho imparato ad accettarmi di più, mi sono innamorata e ho vissuto una storia importante che mi ha certamente aiutata ad affrontare le relazioni con il sesso opposto e a scoprire, per la prima volta, la mia femminilità. Seguo ancora la terapia sostitutiva estrogenica, faccio visite di controllo regolari ma, per il momento, non ho altri disturbi o malattie associate alla sindrome di Turner.

Gruppo San Donato

Mi sento comunque diversa dalle altre donne: so che alcune non vogliono avere figli, la differenza è che io non posso e lo so da sempre. Di fronte a una nuova relazione mi pongo le solite domande: quando dirlo? come dirlo? mi lascerà per questo? Però non mi lascio più frenare e, oggi, vorrei incontrare una persona con cui costruire un futuro. Ne parlo anche con le altre ragazze che frequentano con me gli incontri settimanali presso l’ambulatorio per le malattie rare dell’Ospedale S. Orsola-Malpighi di Bologna. Nessuna di noi ha le risposte a questi dubbi, ovviamente: però il confronto, l’amicizia, il condividere lo stesso percorso di vita ci aiuta a far diventare piccoli anche i problemi. 

Martina 

[a cura di Cinzia Pozzi]

 

 

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