Benessere

Anomalie del seno: la sindrome di Poland

La malformazione consiste nell'assenza dei muscoli pettorali e nello scarso sviluppo (o assenza) delle ghiandole mammarie

La sindrome di Poland, dal nome del chirurgo inglese Alfred Poland che la descrisse nel 1841, è una delle anomalie del seno più gravi e più rare. In media ne soffre circa una donna su 7-10mila. In base alla descrizione dello stesso Poland, l’anomalia consiste:

  • nell’assenza dei muscoli pettorali,
  • nello scarso sviluppo (o assenza) delle ghiandole mammarie,
  • in malformazioni delle scapole e delle dita delle mani.

Accanto a questa forma ne esistono altre, parziali, in cui il problema può essere limitato a una sola mammella.

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Quali sono le cause della sindrome di Poland?

Si tratta di una malformazione presente dalla nascita, che si manifesta durante l’età puberale attraverso il mancato sviluppo della mammella. Ancora oggi non si conosce con certezza la causa della sindrome. Si suppone però che possa trattarsi di un’anomalia della vascolarizzazione embrionale. Questa provocherebbe l’interruzione dell’arteria succlavia, che causerebbe una insufficienza di afflusso nella zona pettorale, con conseguenti malformazioni. I motivi dell’interruzione non sono noti, potrebbero derivare da esposizione a fumo, farmaci, traumi oppure da fattori genetici. In ogni caso, raramente la sindrome è presente in più di un membro della stessa famiglia, il che farebbe escludere l’origine ereditaria.

Quali sono i trattamenti per la sindrome di Poland?

Se manca solo la ghiandola, si procede a una mastoplastica additiva, che consente di dare al seno il volume mancante. Se invece la malformazione riguarda anche la muscolatura, si rimedia utilizzando un lembo del muscolo gran dorsale, la cui sede naturale è la metà superiore laterale della schiena. Nei casi in cui il seno da ricostruire sia di piccole dimensioni, l’intervento consiste nel fare ruotare il gran dorsale sul davanti. Nei casi in cui si debba ottenere un volume maggiore, si ricorre invece al contestuale inserimento di protesi al silicone.

Per quanto riguarda la convalescenza, durante i primi 3-4 giorni c’è bisogno di assistenza. Poi avviene un recupero graduale, che si completa in 10-15 giorni. I punti, se non riassorbibili, si rimuovono dopo 10-12 giorni. Sulla schiena resta solo una cicatrice trasversale, senza danni funzionali. I risultati estetici sono stabili nel tempo, in quanto il seno ricostruito invecchia in tempi molto simili rispetto all’altro. In seguito all’intervento non è possibile allattare. L’operazione è gratuita, in quanto a carico del Servizio sanitario nazionale.

Si può procedere anche con l’autoinnesto di grasso

Occorre, innanzitutto, fare una visita dal medico di base che, constatato il problema, prescriverà una visita specialistica dal chirurgo plastico. Sarà quest’ultimo a programmare, nell’ambito dell’attività ospedaliera, l’intervento. Nei casi in cui le condizioni anatomiche lo consentano, la ricostruzione può avvenire utilizzando il grasso autologo (cioè dello stesso paziente), che viene prelevato dalle sedi in cui è naturalmente presente e trasferito, dopo essere centrifugato e depurato, nella mammella, per creare i volumi che mancano.

Focus di Marco Klinger, professore di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica all’Università degli Studi di Milano e responsabile dell’unità operativa di chirurgia plastica all’istituto clinico Humanitas di Rozzano.

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