Alimentazione

Come leggere le etichette nutrizionali

La prevenzione inizia quando si fa la spesa. Ecco a cosa prestare attenzione

La salute passa (anche) dalla tavola e dai prodotti che acquistiamo al supermercato. Ma nel momento in cui dobbiamo decidere quale articolo mettere nel carrello, la scelta non è sempre così facile. In teoria, ci vengono in aiuto le etichette nutrizionali; in pratica, i termini, le sigle, i numeri e gli ingredienti riportati sulle confezioni, vanno interpretati.

«L’etichetta nutrizionale è stata resa obbligatoria da un regolamento europeo del 2011 e da quell’anno deve accompagnare qualsiasi prodotto preconfezionato», fa sapere Gabriella Lo Feudo, biologa esperta di etichette alimentari per il Crea, il più importante ente di ricerca agroalimentare italiano. «Fornisce le informazioni nutrizionali su 100 grammi di prodotto e deve indicare obbligatoriamente il corrispettivo di calorie, il contenuto in acidi grassi totali e saturi, i carboidrati, gli zuccheri, le proteine e il sale, che non viene più chiamato sodio perché generava confusione nel consumatore». Tra le informazioni facoltative, che il produttore può scegliere se indicare o meno, ci sono il contenuto di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, polioli (dolcificanti) e fibre.

Gruppo San Donato

La lista ingredienti permette di capire meglio la qualità di un alimento

«Ancor più importante della tabella nutrizionale è la lista degli ingredienti», interviene Stefania Ruggeri, nutrizionista del Crea e docente di scienze e tecnologie alimentari all’Università Tor Vergata di Roma. «Elenca tutti i componenti dell’alimento in ordine decrescente per quantità, quindi è soprattutto lì che si può verificare facilmente se, per esempio, un prodotto è ricco o povero di zuccheri. La tabella nutrizionale è più complessa, mentre la lista ingredienti permette di capire meglio la qualità di un alimento, che tipo di olio è stato utilizzato, se sono presenti gli additivi e quali. Inoltre, se è lunga, capiamo subito che si tratta di un cibo iper processato, mentre è sempre meglio scegliere prodotti semplici, con pochi ingredienti e additivi».

Per svelare qualche trucco, continua Ruggeri, «nella lista di ingredienti dei legumi bisogna sempre controllare se c’è anche il sale e in che quantità. Spesso, infatti viene aggiunto per insaporire. Tra i biscotti, invece, meglio optare per i prodotti con una grande quantità di fibra, perché così riduce l’assorbimento degli zuccheri». Per sfruttare al meglio le informazioni delle etichette, con la nutrizionista del Crea abbiamo realizzato un piccola guida.

Come capire se un alimento è troppo salato?

L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di non andare oltre i 5 grammi di sale al giorno per prevenire patologie cardiovascolari come l’ipertensione. Come si capisce se un prodotto è troppo salato? Per essere «a basso contenuto di sale», un alimento non deve contenerne più di 0,3 grammi per 100 grammi di prodotto. Scegliere alimenti poco o medio salati, quindi, significa selezionare quelli che contengono 0,3-1 grammi di sale oppure 0,12-0,4 grammi di sodio. Oltre, il contenuto si definisce alto. In questo caso, gli osservati speciali sono pane, cracker, grissini, i piatti pronti e i legumi in scatola.

I grassi più cattivi sono quelli idrogenati

Perché in tabella nutrizionale sono sempre specificati i grassi saturi? Quali sono i più dannosi e i più buoni?
La denominazione grassi saturi fa riferimento ai legami chimici che sussistono tra le molecole lipidiche. Per esempio, il burro, l’olio di colza e l’olio di cocco sono fonti di grassi saturi. Sono indicati perché possono aumentare il livello di colesterolo nel sangue e perché la nostra dieta è già ricca di prodotti di origine animale che li contengono. Un loro consumo eccessivo è legato a un aumento del rischio di patologie cardiocircolatorie: sempre secondo le direttive dell’Organizzazione mondiale della sanità, adulti e bambini dovrebbero consumare al massimo il 10% delle loro calorie giornaliere sotto forma di grassi saturi, da carne rossa e burro, e solo l’1% dei grassi cosiddetti trans.

Questi ultimi vengono generati dall’industria alimentare durante la trasformazione degli oli in grassi solidi, con un processo chiamato idrogenazione. Più di tutti aumentano i livelli di colesterolo cattivo e, quindi, il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Non è obbligatorio indicarli in etichetta, ma si trovano con la dicitura «grassi vegetali, parzialmente idrogenati» o «acidi grassi insaturi, contiene grassi idrogenati». In alternativa sono da preferire i lipidi di origine vegetale, come i monoinsaturi contenuti nell’olio di oliva, e i polinsaturi (omega 3 e 6), di cui sono ricchi alcuni tipi di pesce, la frutta secca e l’olio extravergine di oliva.

Come riconoscere un buon olio?

Prima di tutto va cercata la dicitura «olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici». Per scegliere bene, poi, si può fare un discrimine in base all’origine, e quindi preferire un olio italiano. Importante trovare in etichetta informazioni come la provenienza geografica, le qualità organolettiche dell’olio e la quantità di acidi grassi polinsaturi e monoinsaturi contenuti. Alcune aziende produttrici evidenziano sulla bottiglia anche la presenza di vitamina E, un’importante sostanza antiossidante.

Un’altra informazione facoltativa, ma importante per valutare la qualità dell’olio, è il grado di acidità, che indica la condizione delle olive prima della raccolta, dato che l’acidità si forma in seguito alla degradazione delle cellule del frutto. Un extravergine di alta qualità, solitamente, ha un’acidità compresa tra 0,1% e 0,3%. Se invece il frutto è mal conservato o danneggiato, l’acidità è più alta e la qualità è inferiore.

Come capire se un pane o un cracker sono davvero integrali?

In etichetta non è obbligatorio indicare la quantità di fibre alimentari, ma si possono trovare claim che recitano «fonte di fibre» o «ad alto contenuto di fibre». In questi casi, il prodotto deve contenere rispettivamente almeno 3 grammi di fibra per 100 grammi e 6 grammi per 100 grammi. I principali veicoli di fibra sono i prodotti integrali.

Per verificare se un prodotto lo è davvero bisogna andare oltre agli strilli sulle confezioni e controllare la lista ingredienti, accertandosi che sia presente la dicitura «integrale» accanto alla materia prima. Ad esempio, «farina di grano tenero integrale» oppure «avena integrale». Le etichette che dichiarano «multicereale», «macinato a pietra», «100% frumento» o «sette cereali» non indicano necessariamente prodotti formulati con cereali integrali. Le linee guida consigliano di assumere ogni giorno 25-30 grammi di fibre. Un loro consumo abituale contribuisce a regolare la glicemia e la colesterolemia.

Sul fronte pacco si leggono tanti altri claim nutrizionali. Che informazioni forniscono?

Il claim nutrizionale è un messaggio pubblicitario autorizzato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), in genere riportato in evidenza sulla confezione. Il suo scopo è indicare che l’alimento ha un aspetto salutistico che gli altri non hanno. Ad esempio, se il claim dice che il prodotto è «light», come spesso si legge sui formaggi freschi o spalmabili, significa che il prodotto non può contenere più di 40 calorie per 100 grammi, mentre è «senza grassi» se non ne ha più di 0,5 grammi per la stessa quantità.

Si può dire poi «a 0 calorie», come leggiamo soprattutto sulle bevande gasate, se non contiene più di 4 calorie per 100 millilitri; mentre la dicitura «a basso contenuto di zuccheri» significa che il prodotto non ne contiene più di 5 grammi per 100 grammi, quando l’alimento è solido, o 2,5 grammi per 100 millilitri, quando si tratta di bibite o succhi. Ultimo esempio, se leggiamo «senza zuccheri aggiunti», tipico delle marmellate, significa che il prodotto non contiene zuccheri (o dolcificanti) in più rispetto a quelli naturali.

Come capisco se un prodotto contiene dolcificanti?

Spesso le aziende vanno incontro all’esigenza di ridurre lo zucchero nella dieta aggiungendo edulcoranti, una classe di additivi alimentari che possiamo trovare in lista ingredienti. Molto utilizzati sono i polioli, sostanze che derivano direttamente dallo zucchero, hanno un potere dolcificante simile ma poco più della metà delle calorie: 2,4 calorie al grammo per i polioli, contro le 4 calorie al grammo del saccarosio. Polioli come sorbitolo (E420), mannitolo (E421) e xilitolo (E967) sostituiscono lo zucchero principalmente in gomme da masticare, caramelle e biscotti, ma un loro consumo eccessivo può causare gonfiore addominale e avere effetti lassativi. Viene da una pianta anche la stevia, che dolcifica 300 volte più dello zucchero, ed è molto utilizzata perché non apporta calorie.

Ci sono poi gli edulcoranti artificiali: l’aspartame (E951) è ipocalorico e dalle 150 alle 200 volte più dolce del saccarosio, è utilizzato soprattutto come additivo di bevande light e come surrogato dello zucchero da parte dei diabetici. La saccarina (E954), invece, è il dolcificante più antico, usato già dalla fine dell’800, con un potere dolcificante 300-500 volte superiore al saccarosio. Molte volte si è parlato di una possibile correlazione tra uso dei dolcificanti e cancro, ma nel 2006, basandosi su ampi studi condotti sull’uomo, l’Efsa ha escluso ogni legame fra edulcoranti artificiali e tumori. Soprattutto sono stati studiati l’aspartame e l’acesulfame K (E951 ed E950), tra i più utilizzati dall’industria alimentare. A oggi, se consumati in determinate quantità giornaliere, sono considerati sicuri.

Le aziende utilizzano tanti altri additivi alimentari. Come li riconosco?

Gli additivi sono sostanze chimiche prive di valore nutrizionale usate per conferire particolari caratteristiche al prodotto o per prolungarne la conservazione. Si tratta di conservanti, antiossidanti, coloranti, addensanti, emulsionanti, antiagglomeranti ed esaltatori di sapidità. Anche se autorizzati dall’Unione Europea, è meglio scegliere alimenti con un basso contenuto di additivi.

Sull’etichetta alimentare può comparire il nome dell’additivo oppure la sigla europea «E» seguita da un numero identificativo. Da 100 a 199 sono coloranti; da 200 a 299 sono conservanti, da 300 a 322 antiossidanti, da 325 a 385 acidificanti. Nella categoria conservanti ci sono i nitriti e i nitrati (E249, E250, E251, E252), presenti soprattutto nella carne in scatola, negli insaccati e nelle carni lavorate. Servono a mantenere il colore rosso della carne, favoriscono lo sviluppo dell’aroma e svolgono un’azione antimicrobica e antisettica. Della categoria additivi sono quelli da tenere maggiormente sotto controllo, perché attraverso la cottura e il metabolismo, se assunti in grandi quantità, possono essere convertiti in composti cancerogeni, chiamati nitrosamine.

Semaforo o batteria sulle confezioni?

Entro la fine dell’anno, secondo le prescrizioni dell’Europa, ci sarà un ulteriore strumento che aiuterà i consumatori a identificare gli alimenti più salutari. Potrebbe essere il Nutri-score, un simbolo a forma di semaforo che, con i colori rosso, giallo e verde, dà un giudizio nutrizionale, oppure il Nutrinform Battery, la controproposta dell’Italia preoccupata che il primo modello, proposto dai francesi, penalizzi i prodotti tipici del made in Italy.

Nutri-score

Dà un voto all’alimento dalla A alla E, le lettere sono rappresentate da cinque colori (verde scuro, verde chiaro, giallo, arancione e rosso) e il punteggio è calcolato tenendo conto di sette parametri nutritivi per 100 grammi di cibo. Il prodotto ha più punti, quindi è verde, se ha un alto contenuto di frutta, verdura, fibre e proteine. Se invece è ricco di grassi, calorie, zuccheri e sodio, appare con il bollino rosso. Al momento il modello francese è stato applicato in cinque Paesi europei: Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Spagna. L’Italia ha criticato il sistema perché, per esempio, non distingue il tipo di grassi. L’olio extravergine d’oliva, quindi, finirebbe con il bollino rosso anche se è un alimento salutare.

Nutrinform Battery

È un’etichetta a batteria che contiene l’indicazione quantitativa del contenuto di calorie, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale per singola porzione in rapporto al fabbisogno giornaliero raccomandato al consumatore (un adulto medio). Quindi, al contrario del Nutri-score, non presenta colori e non si basa su valori standard come 100 grammi o 100 millilitri.

Anche se alcuni marchi hanno già iniziato a utilizzare l’uno o l’altro, al momento nessuno dei due è obbligatorio. Tuttavia, un sistema più chiaro di informazione nutrizionale degli alimenti si impone: secondo le ultime ricerche dell’Efsa, infatti, le abitudini alimentari degli europei non sono tanto bilanciate. L’assunzione di calorie, grassi saturi, sodio e zuccheri è troppo elevata, mentre il consumo di potassio e fibre alimentari insufficiente.

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