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Alzheimer: approvato il primo farmaco che agisce sulla causa della malattia

La FDA americana approva un anticorpo monoclonale in grado di rimuovere l'accumulo di beta amiloide, causa della patologia

La strada per trovare una cura alla malattia di Alzheimer è ancora impervia, ma non del tutto sbarrata. Quello che si può e si riesce a fare oggi con i farmaci a disposizione è rallentarne la progressione, migliorando per qualche tempo i sintomi di declino cognitivo e di alterazione comportamentale. Buone notizie arrivano però dalla ricerca e dal campo degli anticorpi monoclonali: la Food and Drug Administration, infatti, ha appena approvato aducanumab, un farmaco che, se preso al momento giusto, può migliorare il decorso della patologia. Il momento giusto è molto presto, quando la malattia ancora non è manifesta. Da qui la difficoltà e la necessità di rendere più forte ed efficace il fronte della diagnosi precoce, tassello indispensabile per intervenire con successo.

Una cura per l’Alzheimer: inibitori della acetilcolinesterasi e memantina

I medicinali attivi oggi contro la patologia sono gli inibitori della acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge l’acetilcolina, neurotrasmettitore carente nel cervello di chi è colpito dall’Alzheimer. Bloccando questo enzima, si cerca di mantenere il più possibile intatta la concentrazione di acetilcolina e di migliorare la memoria. «I nomi dei principi attivi sono donepezil, rivastigmina, galantamina e sono efficaci nelle prime fasi della malattia» spiega Amalia Cecilia Bruni, presidente della Società Italiana di Neurologia per le demenze (Sindem). «C’è poi la memantina, impiegata soprattutto nelle fasi più avanzate e gravi». Questo farmaco riduce l’attività cerebrale anomala e può contribuire a migliorare le capacità mnemoniche e quelle di ragionamento. «Sono tutte terapie non curative. Rallentano la progressione della malattia, riducendo anche le probabilità di avere disturbi comportamentali. In questo modo i pazienti riescono a mantenere meglio le attività quotidiane ritardando o evitando l’ingresso in una RSA» sottolinea l’esperta.

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Una cura per l’Alzheimer: l’anticorpo monoclonale aducanumab

Dopo una quarantena che ha visto il peggioramento dei sintomi comportamentali nel 60% dei pazienti con demenza (il dato arriva da una ricerca condotta dalla Sindem in Italia, su 4.913 familiari di pazienti, pubblicata su Frontiers in Psychiatry), finalmente tira aria di buone notizie. «La Food and Drug Administration ha esaminato gli studi condotti sul farmaco aducanumab, un anticorpo monoclonale che si è dimostrato efficace nella rimozione dell’accumulo di beta amiloide, causa della patologia di Alzheimer, nei soggetti che si trovano in una fase molto iniziale della malattia» sottolinea Gioacchino Tedeschi, presidente della Società Italiana di Neurologia.

Una cura per l’Alzheimer: come funziona aducanumab?

Ciò che differenzia aducanumab dagli altri medicinali oggi utilizzati contro l’Alzheimer è proprio il momento di azione. Mentre i secondi provano a rallentare la malattia già avviata, questo anticorpo monoclonale agisce nelle fasi prodromiche dell’Alzheimer, cioè quando il declino ancora non è del tutto manifesto. «Negli studi sperimentali è stato evidenziato come aducanumab sia in grado di eliminare le placche di beta amiloide nel cervello. Non solo evitando il declino cognitivo, ma in alcuni casi anche innescando un miglioramento» dice il presidente della Sin. Ma «essendo efficace nella fase prodromica della patologia – riprende Bruni – il suo successo terapeutico va a braccetto con la diagnosi precoce. Ovviamente immagino dovremo avere anche molte cautele nell’impiego di aducanumab nei grandi anziani. La frequente co-occorrenza di malattie croniche quali diabete, ipercolesterolemia, ipertensione o problemi cardiaci negli anziani potrebbe essere un deterrente per l’impiego del farmaco».

Aducanumab è efficace se la diagnosi è precoce

Sulla diagnosi precoce si gioca la partita più difficile. È necessario intercettare le fasi prodromiche della malattia e per farlo bisogna aumentare la sensibilizzazione a vari livelli della popolazione, soprattutto tra i medici di base. «Ricordando che questa patologia non si manifesta solo a 70-80 anni e che non esistono solo sintomi relativi alla perdita di memoria, ma anche quelli comportamentali» sottolinea Bruni. La malattia di Alzheimer è preceduta da una fase di lieve declino cognitivo che può durare anche molti anni.

La fase prodromica dell’Alzheimer

«Le sintomatologie prodromiche sono relativamente più facili da individuare in persone relativamente giovani. Meno quando l’età è molto avanzata, perché possono essere spesso confuse con l’invecchiamento in generale o con stati d’animo più tipici dell’anziano. Ad esempio un po’ di tristezza e riduzione dell’iniziativa. Invece anche piccoli cambi umorali vanno considerati campanelli d’allarme. I sintomi comportamentali iniziali della malattia di Alzheimer variano con il genere, il sesso maschile è più irritabile, quello femminile manifesta soprattutto ansia o depressione». Spesso ci si riferisce al periodo prodromico con il termine Mild Cognitive Impairment (MCI): può essere amnesico, quando la persona ha solo deficit isolati di memoria; non amnesico, se il deficit riguarda linguaggio o azioni; e multidominio, quando i problemi sono in più di una funzione cognitiva. Si stima che un 10-15% di pazienti con diagnosi di MCI ogni anno sviluppi la malattia di Alzheimer.

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Giulia Masoero Regis

Giornalista pubblicista, collabora con OK Salute e Benessere, sito e giornale, e altre testate di divulgazione scientifica. Laureata in Scienze Politiche, Economiche e Sociali all'Università degli Studi di Milano, nel 2017 ha vinto il Premio Giornalistico SID – Società Italiana di Diabetologia “Il diabete sui media”; nel 2018 il Premio DivulgScience nel corso della XII edizione di NutriMI – Forum di Nutrizione Pratica e nel 2021 il Premio giornalistico Lattendibile, di Assolatte, nella Categoria "Salute". Dal 2023 fa parte del comitato scientifico dell’associazione Telefono Amico Italia.
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