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Giorgio Pasotti: un bimbo irrequieto calmato dalle arti marziali

«Ero una peste, non stavo fermo un attimo. Poi ho scoperto il karate: grazie alle discipline orientali ho trovato equilibrio e sono diventato attore»

«Da piccolo ero troppo vivace. Nessun oggetto di casa si salvava dalla mia irruenza», spiega Giorgio Pasotti. «Finché mio padre ebbe un’idea geniale: mi iscrisse a un corso di karate. Grazie alle arti marziali ho messo ordine nel mio “caos energetico”. Così ho avuto l’opportunità (caso o destino?) di girare un film…».
Ecco la confessione dell’attore a OK.

«Avete in mente il proverbiale elefante in una cristalleria? Ecco, ora pensate a un elefantino, che sarei io, in un negozio d’antiquariato, che sarebbe quello di mio papà. No, tranquilli, non parlo di adesso che ho passato i 30 anni: mi riferisco a quando ne avevo cinque o sei.

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Sì, da piccolo ero piuttosto vivace, avevo poca voglia di star fermo e molti, troppi oggetti delicati attorno: una miscela esplosiva. Anche all’asilo e durante i primi anni delle elementari ero croce e delizia delle maestre, sempre in prima fila quando c’era qualche attività fisica e quando era ora di giocare; perennemente ultimo a esser ricondotto alla calma quando si dovevano fare i compiti o seguire le lezioni.

Insomma, una piccola peste, una specie di dinamo inesauribile. A esaurirsi semmai erano gli adulti che avevano la sventura di dovermi stare dietro.

Il karate mi dà coordinazione
L’idea giusta su come incanalare tutta quell’energia la ebbe mio papà Mario. Quando avevo sei anni mi iscrisse a un corso di karate e, quando gli chiesi cosa fosse di preciso, mi disse: “Hai in mente l’arte che vendo io in negozio? Ecco, anche il karate è un’arte“.
Mi lasciò un po’ perplesso, ma a distanza di pochi anni ho capito che il paragone era perfetto. Le arti marziali non sono solo calci, pugni e combattimenti; al contrario, la componente artistica è preponderante.

Sono una disciplina simile alla ginnastica artistica acrobatica e prevedono l’esecuzione delle tecniche di attacco e difesa contro avversari immaginari. Ogni sequenza si chiama forma e ogni forma va eseguita secondo tempi e modi codificati nei minimi dettagli. Un centimetro troppo a destra o troppo a sinistra, e sbagli. Mezzo secondo troppo tardi o troppo presto, e sbagli.

La bravura dell’atleta viene valutata in base alla coordinazione, all’agilità, alla qualità di esecuzione di questa lunga serie di movimenti. Per raggiungere la perfezione ci vogliono anni e anni di pratica e di studio quotidiani: le arti marziali sono, prima di tutto, applicazione, cura, attenzione, rispetto, delicatezza, consapevolezza.

Tornando alla mia storia, ero già cintura nera di karate quando, a 13 anni, mi sono dato al wushu, la disciplina cinese che più si confaceva a una sensibilità artistica che evidentemente già avevo. Ben prima della cintura nera ero cambiato rispetto al bimbo irrequieto e a volte maldestro che ero: fisicamente ero diventato elegante, coordinato, aggraziato.

Ma era soprattutto nella mente che ero diverso. La pratica marziale mi aveva fatto diventare riflessivo, tenace, capace di concentrarmi su un problema alla volta e di restare calmo anche quando le emozioni avrebbero potuto sopraffarmi, come nelle gare.

Sono attore solo per caso
In poco tempo sono diventato la più giovane cintura nera d’Italia anche di wushu e ho avuto la possibilità di passare, per due anni di seguito, le vacanze estive in Cina per perfezionare la tecnica. È servito così tanto che mi sono laureato campione italiano.

Terminati gli studi, nel 1992, per migliorare ancora e affinare le mie conoscenze del wushu mi sono trasferito per due anni interi in Cina, dove ho studiato all’Università di educazione fisica di Pechino.

Al fianco dei migliori del mondo sono entrato io stesso nel Gotha della disciplina cogliendo risultati di rilievo internazionale: sono stato tre volte campione europeo e mi sono classificato quinto ai Mondiali. 

Proprio mentre studiavo il wushu in Cina, quasi per caso è cambiata la mia vita: una casa di produzione cinematografica stava cercando un ragazzo occidentale per una parte in un film sulle arti marziali. Qualcuno deve averli indirizzati all’Università di Pechino dove c’era questo ragazzo italiano che non se la cavava malaccio.

Quattro chiacchiere ed eccomi sul set: un set cinese, ovviamente, dove tutti, indovinate un po’, parlavano cinese. Io la lingua la conoscevo abbastanza bene, ma certo non è stato facile tra il caos assoluto e l’emozione per un debutto che mai mi sarei aspettato.

Senza wushu sarei perduto
In quella circostanza ho potuto, una volta di più, apprezzare i benefici della mia formazione marziale: grazie al mio allenamento, agli esercizi di meditazione e respirazione, sono riuscito a trovare la calma e la concentrazione per portare a termine un compito per il quale non avevo alcuna preparazione.

Vedendo come è proseguita la mia carriera, deve aver funzionato. Ora che gli impegni di lavoro sono sempre più pressanti non riesco più ad allenarmi sei ore al giorno come facevo a vent’anni, ma trovo comunque il tempo per la pratica. Almeno tre volte la settimana per un’ora e mezzo. Senza, mi sentirei perduto».

Giorgio Pasotti
(testo raccolto da Massimo Valz Gris per OK La salute prima di tutto)

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