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Cambio di sesso: un problema per 4mila italiani

Perseguitati da bullismo, pregiudizi e lungaggini burocratiche: oggi però non bisogna più operarsi per cambiare genere all'anagrafe

Nascere nel sesso diverso da quello a cui ci si sente di appartenere: non si tratta di travestitismo, e nemmeno di qualcosa che ha a che fare con la prostituzione o la tossicodipendenza. In realtà stiamo parlando di un serio problema di identità, definito come “disforia di genere”, che interessa quasi 4.000 italiani, soprattutto uomini, spesso vittime di bullismo e pregiudizi. Per molti il cambio di sesso all’anagrafe è una necessità per poter vivere serenamente la propria condizione, ma per colpa della burocrazia ci possono volere anche 5 anni di attesa.

Il punto della situazione lo hanno fatto gli esperti riuniti a Verona per il convegno “Disforia di genere” promosso dall’Associazione Medici Endocrinologi (AME) in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona, l’Ordine dei Medici della provincia di Verona e dal Comune.

Gruppo San Donato

«La disforia di genere non è più considerata come disturbo mentale della sfera sessuale», spiega Roberto Castello, direttore di Medicina Generale a Borgo Trento (Verona) e Responsabile Scientifico del convegno. «Infatti il problema dell’essere “trans genere” – prosegue l’esperto – non è un problema di sessualità o di preferenze sessuali, quanto quello di riuscire a dare una risposta alla domanda “chi sono io? Qual è la mia identità?”».

«I problemi nell’identità di genere appaiono, generalmente, già nei primi 5 anni di vita cogliendo i genitori del tutto impreparati», afferma Ilaria Ruzza, coordinatrice del Servizio Accoglienza Trans di Verona. «Il piccolo, o la piccola, si troverà solo a combattere contro le aggressioni dei compagni di giochi e, subito dopo, contro il bullismo a scuola. Naturalmente – aggiunge Ruzza – sarà con l’adolescenza e con le prime pulsioni sessuali che la persona comprenderà di essere nata in un corpo sbagliato. I problemi sono poi esacerbati da una società non ispirata a criteri di inclusività e rispetto, oltre che da lungaggini burocratiche che vedono in 5 anni il tempo medio necessario ad ottenere un cambio anagrafico. Sono 5 anni difficili in cui qualsiasi cosa, anche il ritiro di una raccomandata in Posta, costringe la persona a dover spiegare la non corrispondenza tra il destinatario della raccomandata e la persona che si presenta per il ritiro, con evidente conflitto con il diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancito dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Anche la ricerca di un lavoro è ostacolata da queste lungaggini e l’Italia, contrariamente a quanto succede in altri Paesi, non consente di avere un cambio anagrafico all’inizio del processo».

In questo contesto, «un’importante novità è la recentissima sentenza della Cassazione (15138 del 20 luglio 2015) che stabilisce la non obbligatorietà della procedura chirurgica di modifica dei caratteri sessuali ai fini del riconoscimento del diritto alla rettifica anagrafica», afferma Giovanni Guercio, Avvocato Patrocinante in Cassazione, Solicitor of England&Wales a Roma.

Chi vuole comunque ricorrere al bisturi per dare una svolta definitiva alla propria vita, deve sapere che il cammino può essere lungo. Il primo passo da fare è il consulto con lo psichiatra e lo psicologo, che valutano la fondatezza e l’autenticità delle motivazioni; segue quindi la fase di cambiamento accompagnata da interventi di tipo farmacologico e, successivamente da quella chirurgica.

«La terapia chirurgica nella conversione gino-androide prevede fasi temporali diverse, con interventi di chirurgia demolitiva e poi ricostruttiva che tengono conto anche delle variegate esigenze dei pazienti», spiega Carlo Trombetta, direttore della Scuola di Specializzazione Urologica a Trieste. «Viceversa nell’intervento andro-ginoide – precisa l’esperto – tutto si svolge in un tempo unico (della durata circa 5 ore). L’intero percorso è coperto e riconosciuto dal Servizio Saniotario Nazionale, anche se per i pazienti non mancano le difficoltà legate alla scarsità di centri dedicati. Da diversi anni comunque alcuni centri italiani sono in grado di garantire quel livello di eccellenza che, storicamente, era più facile trovare all’estero».

14/09/2015

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