SaluteTumori

Tumore al rene: sintomi e terapie disponibili

Intervento chirurgico, sorveglianza attiva, ablazione, farmaci biologici e immunoterapia: ecco tutte le armi possibili contro il carcinoma renale

Il tumore al rene fa ancora molta paura, ma per fortuna oggi si può fare molto per sconfiggerlo, soprattutto se si interviene in tempo. Questo tipo di tumore rappresenta il 6% del totale e che si colloca al terzo posto tra quelli urologici, dopo le neoplasie alla prostata e alla vescica.

Colpisce più di frequente gli uomini rispetto alle donne (con un rapporto di circa due a uno), soprattutto tra i 60 e i 70 anni, anche se può talvolta riguardare pazienti più giovani.

Gruppo San Donato

«L’insieme di diagnosi precoce, da un lato, e di trattamenti sempre più innovativi ed efficaci, dall’altro, consente di contrastare la malattia con l’obiettivo, ove possibile, di guarirla definitivamente». Umberto Capitanio è dirigente medico dell’unità operativa di urologia dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano.

I sintomi del tumore al rene

Di questo tumore esistono diversi tipi. Il più comune è il carcinoma a cellule renali, che interessa circa nove pazienti su dieci.

In fase iniziale non dà segni della propria presenza, mentre in uno stadio più avanzato possono comparire uno o più dei tre sintomi tipici della malattia, cioè:

  1. perdita di sangue con le urine,
  2. dolore all’addome o al dorso,
  3. presenza di una massa palpabile sul fianco.

In alcuni casi possono poi presentarsi sintomi non specifici, come febbre serale, incremento della pressione sanguigna, perdita di peso, diminuzione dei globuli rossi nel sangue, aumento del calcio nel sangue.

La diagnosi

«Proprio per l’assenza di campanelli d’allarme, spesso il sospetto di una possibile formazione tumorale al rene sorge in modo casuale, nel corso di un’ecografia all’addome». Francesco Montorsi è primario dell’unità operativa di urologia dell’Irccs Ospedale San Raffaele.

«La diagnosi dovrà poi essere confermata da ulteriori accertamenti, come la Tac con mezzo di contrasto, iniettato nella vena del braccio. Nel caso di persone giovani o in presenza di cisti al rene, si può effettuare, al posto della Tac, una risonanza magnetica con mezzo di contrasto. In alcuni casi particolari può essere utile eseguire, in anestesia locale, una biopsia. Si tratta di una procedura durante la quale, tramite un ago, un esperto preleva una piccola porzione di tessuto renale da analizzare poi in laboratorio per determinare il tipo di cellule presenti».

Nuovi studi sulla diagnosi precoce tramite urine

Con l’obiettivo di riuscire a individuare la malattia in fase sempre più precoce sono in corso alcuni studi per identificare, nel sangue o nelle urine dei pazienti, possibili marcatori della malattia.

L’ultima in ordine di tempo è stata una ricerca dell’Università di Bari, che ha scoperto un nuovo marcatore nel sangue che ci indica la presenza del tumore.

Ad andare in questa direzione è stata una ricerca pubblicata nel 2015 su Jama Oncology che ha evidenziato come, nelle urine dei malati di carcinoma renale, le proteine aquaporina-1 e perlipina-2 risultino particolarmente elevate.

Un altro studio, pubblicato nel 2019 su Molecular Medicine Reports e realizzato da un gruppo di scienziati cinesi, ha dimostrato che la proteina CEP55 appariva aumentata nei campioni di urine dei malati rispetto a quelli delle persone sane.

Qual è la terapia migliore? Dipende da che tipo di tumore è 

Una volta accertata la presenza del carcinoma si procede con quella che gli esperti chiamano stadiazione. In pratica si tratta di definire, valutando le dimensioni della massa, l’interessamento dei linfonodi, la presenza di metastasi a distanza, lo stadio in cui si trova il tumore.

Le possibili terapie contro il tumore al rene sono varie. «La pianificazione del trattamento richiede il coinvolgimento di un’équipe multidisciplinare. Gli specialisti di diverse branche (urologo, oncologo, nefrologo, radiologo, radiologo interventista) lavorano in team per proporre al paziente una terapia personalizzata, su misura».

L’intervento chirurgico (anche con l’ausilio del robot)

Il trattamento chirurgico è indicato per i tumori localizzati, cioè confinati all’interno del rene, o localmente avanzati, che hanno cioè infiltrato il grasso attorno al rene, i vasi sanguigni e i linfonodi.

Il consiglio per i pazienti è quello di rivolgersi non al piccolo ospedale sotto casa, ma a un centro specialistico. È più facile trovare professionisti esperti e di tecnologie innovative.

«In particolare, nella nostra struttura la procedura viene effettuata con l’ausilio del robot Da Vinci. Questo dispositivo consente al chirurgo di operare con un ingrandimento fino a circa dieci volte e con una visione tridimensionale. Questo permette di riconoscere anche i più piccoli dettagli anatomici e di procedere con la massima accuratezza. Assicura una netta riduzione delle perdite di sangue e un minor dolore post-operatorio, garantendo, quindi, tempi di degenza e recupero significativamente inferiori».

Come si svolge l’intervento

  • In pratica, dopo aver sottoposto il paziente ad anestesia generale, il chirurgo pratica quattro-cinque piccole incisioni addominali di circa un centimetro l’una. Attraverso una di queste inserisce all’interno della cavità addominale la telecamera ottica. Accede poi allo spazio in cui è collocato il rene e individua la neoplasia.
  • Procede quindi alla chiusura (clampaggio) dell’arteria renale, per interrompere temporaneamente (di solito per meno di 20 minuti) il flusso sanguigno del rene. In questo modo si riducono le perdite ematiche e si permette un’ottimale visualizzazione dei tessuti.
  • Prosegue dunque alla resezione e all’asportazione del tumore, avendo cura di asportare anche due-tre millimetri di tessuto apparentemente sano che circonda la neoplasia (nefrectomia parziale).
  • Talvolta, le dimensioni eccessive o la localizzazione della massa tumorale rendono impossibile l’asportazione selettiva del carcinoma. In questi casi, è necessaria la nefrectomia radicale, ovvero l’asportazione dell’intero organo la cui funzione verrà tuttavia in poco tempo vicariata dal rene residuo.

Le possibili complicanze

Le complicanze dell’intervento, molto rare, includono emorragie, anemia, lesioni delle vie urinarie e del pancreas. Al termine dell’operazione le piccole ferite cutanee vengono suturate con filo riassorbibile, che non necessita di rimozione.

Il post-operatorio

Contestualmente all’intervento vengono anche posizionati un tubo di drenaggio e un catetere vescicale, che verranno rimossi dopo uno o due giorni.

Se la malattia ha infiltrato importanti organi vicini al rene, il chirurgo può decidere di optare per il tradizionale intervento di nefrectomia radicale a cielo aperto, tramite un’incisione sull’addome.

«In ogni caso, la durata del ricovero dev’essere limitata al minimo necessario e il paziente deve rimanere a letto il meno possibile», avverte il chirurgo. «Una volta dimesso, dovrà poi attenersi scrupolosamente alle indicazioni del medico. L’alimentazione deve essere varia ed equilibrata, in grado di apportare tutti i nutrienti necessari, ed evitando sforzi fisici intensi per almeno tre settimane».

In alcuni casi selezionati possono beneficiare del trattamento chirurgico anche i pazienti con diffusione del tumore in organi a distanza, soprattutto se il volume di malattia è modesto (oligometastasi).

Ablazione o sorveglianza per chi non può essere operato

Se il tumore al rene è localizzato e di ridotte dimensioni, ma i pazienti sono molto anziani e con altre gravi malattie concomitanti, è possibile optare per la sorveglianza attiva. Consiste nel monitorare la neoplasia con esami radiologici (Tac o risonanza magnetica) periodici. In particolare, i controlli devono essere eseguiti dopo tre e sei mesi dalla diagnosi, ogni sei mesi fino a tre anni e successivamente una volta all’anno.

Nel caso fosse necessario asportare queste formazioni piccole e localizzate, si può ricorrere all’ablazione, un trattamento di radiologia interventistica mininvasivo. L’operatore inserisce, attraverso la pelle e grazie ad appositi aghi, uno o più elettrodi nella massa tumorale, monitorando il loro percorso tramite la Tac.

Una volta raggiunta la neoplasia, viene veicolata una forma di energia allo scopo di provocare la morte (necrosi) delle cellule malate. L’ablazione, che può essere eseguita in anestesia locale o generale, dura circa un’ora e mezza o due.

Farmaci biologici o immunoterapia quando ci sono metastasi

Se il tumore si è diffuso in organi a distanza (metastasi), come per esempio polmoni, ossa, linfonodi addominali o polmonari, si interviene con la terapia farmacologica. «Negli ultimi anni la ricerca ha fatto numerosi passi avanti, soprattutto per quanto riguarda due categorie di farmaci, le terapie mirate e l’immunoterapia», chiarisce Capitanio.

I farmaci biologici a bersaglio molecolare

«Le prime, chiamate anche target therapy o farmaci biologici a bersaglio molecolare, sono in grado di colpire selettivamente alcuni obiettivi presenti solo sulle cellule tumorali, risparmiando così quelle sane. Agiscono perlopiù inibendo la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi), che portano sostanze nutritive al tumore, consentendogli di crescere e di proliferare. Tra queste terapie si annoverano, per esempio, sunitinib, pazopanib, bevacizumab, sorafenib, axitinib.

L’immunoterapia

L’immunoterapia consiste, invece, in molecole (i cosiddetti inibitori di checkpoint) in grado di “sbloccare” il sistema immunitario, lo “scudo” che difende il nostro organismo da ciò che potrebbe nuocergli. Una volta attivato, tale sistema riuscirà con più facilità a riconoscere e ad aggredire le cellule tumorali.

Fanno parte di questa categoria di farmaci nivolumab, atezolizumab, pembrolizumab, ipilimumab e altri. In questo scenario, le nuove linee guida europee, pubblicate nel 2021 su European Urology, hanno stabilito che la migliore opzione terapeutica per i pazienti con malattia metastatica è la combinazione di due farmaci.

In particolare, la prima associazione raccomandata è costituita da immunoterapia e farmaco biologico (pembrolizumab e axitinib). La seconda e la terza sono formate da due farmaci immunoterapici (nivolumab e ipilimumab, cabozantinib e nivolumab).

Ci sono effetti collaterali?

Tra gli effetti collaterali, correlati al meccanismo di azione dei farmaci stessi, si annoverano:

  • rilevante aumento della pressione sanguigna che richiede un trattamento farmacologico specifico;
  • pelle irritata, arrossata, dolente;
  • incremento di reazioni autoimmuni, che possono provocare disturbi come tiroiditi, pancreatiti, uveiti;
  • persistente stanchezza. Se dopo l’assunzione di una combinazione farmacologica la malattia dovesse ripresentarsi, è possibile contrastarla impiegando i medicinali di queste categorie da soli (monoterapia).

Tumore al rene: le formazioni benigne

Fortunatamente non tutti i tumori renali sono maligni. Tra quelli benigni, privi cioè della capacità di diffondersi a distanza (metastatizzazione), i più comuni sono i seguenti.

  • Oncocitoma
    Si presenta come una massa compatta, omogenea e ben circoscritta e colpisce di solito un solo rene. La diagnosi, che spesso avviene casualmente, può essere difficile. Per spazzare via ogni dubbio è di solito necessario eseguire una biopsia. Il trattamento prevede nella maggior parte dei casi l’asportazione tramite il bisturi.
  • Angiomiolipoma
    È un tumore circoscritto costituito da un insieme di vasi sanguigni dilatati (aneurismi) con le pareti spesse, tessuto muscolare, aree adipose. Più frequente nelle donne di mezza età, di solito non presenta sintomi e solo nelle fasi più avanzate può comparire una massa palpabile associata a dolori addominali. La diagnosi avviene di solito incidentalmente tramite l’ecografia, ed è poi confermata dalla Tac o dalla risonanza magnetica, che evidenziano la tipica presenza di grasso all’interno del tumore. La terapia dipende dalle dimensioni. Se ha un diametro inferiore ai 4 centimetri, non presenta sintomi né rischio di sanguinamento, può essere gestito con il metodo della sorveglianza attiva, effettuando controlli tramite Tac o risonanza magnetica dopo 6 e 12 mesi dalla diagnosi e in seguito programmando una rivalutazione dopo uno o due anni. Se invece il diametro è superiore, si interviene di solito chirurgicamente per rimuovere la massa.

Leggi anche…

Mostra di più
Pulsante per tornare all'inizio