Salute

La presbiopia non corretta aumenta il rischio di demenza del 40%

I nuovi studi rafforzano l'idea che la perdita sensoriale riduce la stimolazione cerebrale e aumenta il rischio di declino cognitivo, isolamento e depressione

A molti succede all’improvviso, spesso in modo quasi impercettibile: il menù del ristorante sembra scritto in caratteri più piccoli, il telefono si allontana di qualche centimetro, la luce non basta più. È la presbiopia, una fase naturale che segna un punto di svolta: non è un difetto, non è un segnale di fragilità, ma il modo in cui gli occhi ci ricordano che il corpo cambia.

Per molti, però, è la prima vera “sveglia” del tempo che passa. Una trasformazione silenziosa che coinvolge non solo la vista, ma anche la percezione di sé, le emozioni e – come mostrano oggi nuove ricerche – persino la salute del cervello.

Un fenomeno globale in crescita: entro il 2050 riguarderà 4 miliardi di persone

La presbiopia è molto più diffusa di quanto si pensi. Secondo il World Council of Optometry e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, oggi oltre 2,1 miliardi di persone convivono con questo cambiamento visivo, e saranno più di 4 miliardi entro il 2050, circa il 40% della popolazione mondiale.

L’Italia rispecchia perfettamente questi trend: una popolazione sempre più matura, con oltre la metà delle persone sopra i 45 anni, e un uso intensivo di smartphone e computer che anticipa e amplifica la sensazione di fatica oculare.

Presbiopia e rischio demenza: necessaria una riflessione

«L’aumento della presbiopia, come della miopia – che oggi riguarda già un terzo della popolazione mondiale e potrebbe toccare il 50% entro il 2050 – impone una riflessione sulla prevenzione e sulla salute visiva», spiega Anna Ambroziak, direttrice scientifica dello Świat Oka Ophthalmological Center. L’invito è chiaro: monitorare la vista regolarmente e correggere subito eventuali difficoltà per prevenire evoluzioni più serie.

E se smettessimo di chiamarla presbiopia? L’idea della “matureopia”

Il numero di persone presbiope aumenterà inevitabilmente, semplicemente perché viviamo più a lungo. Ma forse, dicono alcuni esperti, è il linguaggio che va aggiornato. «Forse potremmo chiamarla matureopia, ma più che cambiare parola dovremmo cambiare atteggiamento. Non è un difetto: è una fase fisiologica del corpo. Invecchiare significa trasformarsi», afferma Anna Ambroziak.

La presbiopia nasce infatti da un processo progressivo: il cristallino perde elasticità, le sue fibre si compattano, i muscoli ciliari si affaticano. Ed ecco perché mettere a fuoco da vicino diventa sempre più difficile, a partire dai 40-45 anni.

Cosa succede ai nostri occhi: quattro cambiamenti chiave

Con il passare del tempo, il cristallino – la lente naturale dell’occhio – va incontro a modifiche strutturali ben documentate:

  1. Riduzione dell’elasticità.
  2. Compattazione delle fibre interne.
  3. Leggera disidratazione della lente.
  4. Indebolimento dei muscoli ciliari.

Risultato: intorno ai 45 anni il cristallino mette a fuoco appena un terzo rispetto a quando eravamo bambini. A peggiorare la situazione interviene lo stile di vita moderno, dominato da schermi e luce artificiale.

Presbiopia precoce: oggi arriva anche prima dei 40 anni

La grande novità degli ultimi anni? La presbiopia non riguarda più solo gli over 40. Uno studio condotto su oltre 3.700 persone tra i 32 e i 39 anni ha rilevato che quasi l’11% presenta già segni di presbiopia, con un’età media di 36,5 anni.

I fattori associati:

  • uso intenso dello smartphone,
  • lavoro ravvicinato e continuativo,
  • scarsa esposizione alla luce naturale,
  • fumo,
  • anemia.

Le abitudini digitali giocano un ruolo dominante: schermi vicini, molte ore online, pochi battiti di palpebre e continui cambi di distanza mettono sotto stress un sistema visivo non progettato per tutto questo.

Affaticamento visivo: la nuova “sindrome dei quarantenni”

Oggi 8 persone su 10 riferiscono affaticamento visivo e il 40% nota un peggioramento della vista da vicino dopo i 40 anni.
La combinazione tra presbiopia naturale e “overload digitale” crea una tempesta perfetta: continui passaggi da schermi a documenti, poi di nuovo allo smartphone, senza pause né recupero.

Un adulto trascorre tra le 6 e le 10 ore al giorno davanti ai dispositivi. E l’occhio, pensato per guardare lontano all’aria aperta, non può che risentirne.

Soluzioni moderne: le nuove lenti per la visione da vicino

La presbiopia, però, non deve essere vissuta come un limite. “Influisce sulla vita lavorativa, sul benessere psicologico e sulle relazioni quotidiane”, osserva Ambroziak. “Ma oggi lenti e tecnologie ottiche sono molto più avanzate e personalizzabili”.

Le lenti di nuova generazione:

  • hanno design precisi e adatti a ogni distanza,
  • utilizzano materiali sottili e leggeri,
  • integrano trattamenti intelligenti che modulano la luce e riducono i fastidi digitali.

Obiettivo: una vista confortevole, naturale e nitida in ogni situazione.

Presbiopia e rischio demenza: perché vedere male affatica la mente

La vista e il cervello sono strettamente collegati. Negli ultimi anni numerosi studi hanno mostrato che la presbiopia non corretta può influire su concentrazione, memoria e attenzione.

Una revisione scientifica recente ha confermato che la perdita della vista aumenta il rischio di declino cognitivo e demenza.
Un grande studio australiano, che ha seguito 2.200 adulti per 12 anni, ha identificato la riduzione dell’acuità visiva come predittore del declino cognitivo futuro.

“Quando il cervello riceve immagini sfocate, deve sforzarsi per interpretarle”, spiega Ambroziak. “Questo crea un sovraccarico cognitivo costante che, nel tempo, può interferire con le funzioni mentali più complesse”.

Presbiopia e rischio demenza: vedere male aumenta del 63% il rischio di demenza

I dati più significativi arrivano dal Three-City Alienor Study, che ha monitorato oltre 9.000 over 65 per più di 16 anni. Risultato:

  • anche una lieve perdita della vista da vicino aumenta del 63% il rischio di demenza,
  • il 40% aveva problemi visivi facilmente correggibili,
  • chi vedeva peggio aveva limitazioni motorie nel 60% dei casi,
  • una persona su cinque aveva difficoltà nelle attività quotidiane.

Questi risultati si inseriscono nella Sensory Deprivation Hypothesis, secondo cui la perdita sensoriale riduce la stimolazione cerebrale e aumenta il rischio di declino cognitivo, isolamento e depressione.

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Francesco Bianco

Giornalista professionista dal 1997, ha lavorato per il sito del Corriere della Sera e di Oggi, ha fatto interviste per Mtv e attualmente conduce un programma di attualità tutte le mattine su Radio LatteMiele, dopo aver trascorso quattro anni nella redazione di Radio 24, la radio del Sole 24 Ore. Nel 2012 ha vinto il premio Cronista dell'Anno dell'Unione Cronisti Italiani per un servizio sulle difficoltà dell'immigrazione. Nel 2017 ha ricevuto il premio Redattore del Gusto per i suoi articoli sull'alimentazione.
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