Salute

I virus buoni alleati della salute

Alla Conferenza mondiale The Future of Science, a Venezia, il rapporto tra microrganismi e tumori. E la sfida della terapia genica: riprogrammare i retrovirus e curare le malattie

dal nostro inviato a Venezia
Paolo Rossi Castelli

Virus e tumori: il tema può apparire inquietante, ma offre, a guardar bene, anche alcuni motivi di speranza. Se non altro perché, di fronte a una causa precisa di certe forme di cancro (un virus, appunto), si può anche mettere in campo una terapia efficace e mirata, come un vaccino. A questo tema è dedicata la terza e ultima giornata della Conferenza mondiale The Future of Science sui «Virus, nemici invisibili», organizzata all’Isola di San Giorgio dalle fondazioni Umberto Veronesi, Giorgio Cini e Silvio Tronchetti Provera.

Gruppo San Donato

Ma i complessi rapporti fra virus e tumori non si fermano qui. Capovolgendo l’orizzonte, i virus possono essere anche sfruttati, grazie alla terapia genica, per curare le patologie tumorali e altre gravi malattie. Ecco come hanno affrontato questi temi due fra i maggiori esperti internazionali: Robin Weiss e Luigi Naldini.

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L’intervento di Robin Weiss
L’intervento di Luigi Naldini
Gli interventi del secondo giorno
Gli interventi del primo giorno

TERZO GIORNO – 21 settembre 2010

ROBIN WEISS, professore di oncologia virale all’University College di Londra

«I virus possono innescare il cancro? Sì, almeno il 20% di tutti i tumori nell’uomo è legato, in qualche modo, a questi microrganismi.
I meccanismi d’azione sono ormai conosciuti: il virus crea una serie di danni che, nel tempo (quasi sempre lunghissimo, anche 50 o 60 anni) portano, in alcuni casi, a una trasformazione cancerosa delle cellule.

Qualcuno può rimanere sorpreso di fronte a questo “abbinamento” ma, in realtà, l’idea che i tumori siano collegabili ai virus o, quantomeno, a microrganismi, è antica, e ha avuto la sua prima formulazione addirittura nel 1842, da parte di un chirurgo altoatesino, Domenico Rigoni Stern, che lavorava a Verona.
Le suore, aveva notato il medico-ricercatore, non si ammalavano mai di carcinoma del collo dell’utero (mentre invece venivano colpite da quello della mammella) e Rigoni Stern aveva collegato questa circostanza all’astinenza sessuale delle religiose: il regime di castità, ipotizzava con ragione, evita il passaggio di microrganismi cancerogeni all’utero.

La dimostrazione scientifica di questa intuizione è arrivata, però, soltanto 140 anni dopo, nel 1983, grazie agli studi di Harald zur Hausen sul papilloma virus, responsabile della maggior parte dei tumori della cervice uterina (per questo zur Hausen ha vinto il Nobel nel 2008).
E solo due mesi fa, in luglio, è stato pubblicato uno studio su un altro oncovirus (cioè un virus capace di innescare il cancro), relativo, questa volta, a una forma benigna di tumore della pelle (tecnicamente, un poliomavirus).
In precedenza erano stati individuati altri quattro tipi di tumore collegabili agli oncovirus: quello del fegato, innescato, sia pure raramente, dai virus dell’epatite B e C. Quello nasofaringeo, favorito dal virus di Epstein-Barr. E alcuni tipi di leucemia e linfoma, associati a diversi tipi di virus.
Numerosi altri microrganismi sono stati messi sotto accusa negli ultimi anni (in gergo, noi li chiamiamo “rumor viruses”). In particolare, l’XMRV per il carcinoma della prostata. Ma non esistono ancora prove sicure.

Come ci si cura? Con il vaccino, nel caso del papilloma e dellepatite B, e con altri farmaci, ma agendo molto anche sul versante della prevenzione. È necessario stare in guardia, ma non bisogna nemmeno farsi prendere dal panico.
In genere il virus da solo non basta per scatenare il cancro: occorrono altre concause (se consideriamo il fegato, per esempio, fumo e alcol fanno aumentare enormemente il rischio). Non per niente, moltissime persone sane convivono con virus oncogeni senza ammalarsi di tumore. Il cancro, da questo punto di vista, è un raro “effetto collaterale”».

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L’intervento di Luigi Naldini
Gli interventi del secondo giorno
Gli interventi del primo giorno

TERZO GIORNO – 21 settembre 2010

LUIGI NALDINI, direttore dell’Istituto Telethon San Raffaele per la Terapia Genica di Milano

«La scoperta dei retrovirus e del loro modo, così efficace (e temibile) di infettare gli uomini, ha dato un forte impulso alla terapia genica. Sembra strano, ma abbiamo imparato molto da questi microrganismi, Hiv compreso…
In che modo? A differenza di altri tipi di agenti patogeni, i retrovirus entrano nelle cellule ospiti e trasferiscono lì, nel nucleo, il loro codice genetico, che si integra stabilmente con il Dna “originale”, si duplica con lui, addirittura va incontro a mutazioni, come se fosse proprio quello della cellula (ma poi, dopo un certo tempo, comincia a fare danni).

Ebbene, in alcuni laboratori particolarmente avanzati si è riusciti a disattivare, grazie all’ingegneria genetica, la parte più pericolosa dei retrovirus e a sostituirla con una sequenza “buona”, capace di curare (insomma, tutto il contrario di quello che avviene in natura…).
Poi questi retrovirus modificati sono stati mandati a infettare cellule di pazienti con malattie genetiche (ma esperimenti sono in corso anche per i tumori). E, penetrando al loro interno, hanno riparato i danni.

Un risultato molto concreto l’abbiamo ottenuto, all’ospedale San Raffaele di Milano, con 15 bambini affetti da una rara patologia genetica, la Ada-Scid, meglio conosciuta come malattia della bolla. Questi bambini dovevano vivere isolati da tutti (in una bolla sterile, appunto), perché il loro sistema immunitario non era in grado di difenderli dalle infezioni, per l’alterazione di un gene.
Noi abbiamo prelevato, dal midollo osseo, una certa quantità di cellule staminali e le abbiamo messe a contatto, in laboratorio, con retrovirus “ingegnerizzati” che contenevano la versione sana del gene alterato. I virus sono penetrati con grande efficacia nelle staminali e hanno fuso il loro codice genetico (dunque, anche il gene buono) con quello delle cellule. Le staminali sono poi state re-immesse nei bambini e, duplicandosi, hanno dato vita a linfociti sani, che sono stati in grado di riportare il sistema immunitario a un funzionamento normale. Adesso quei bimbi non vivono più nella bolla. Vanno a scuola, stanno bene…».

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Gli interventi del secondo giorno
Gli interventi del primo giorno

SECONDO GIORNO – 20 settembre 2010

A Venezia parlano gli Indiana Jones dei virus. Ormai gli studiosi sono sicuri: una gran parte dei microrganismi che colpiscono gli uomini arrivano, in vari modi, dal mondo animale, che rappresenta un immenso serbatoio per il loro sviluppo e le loro mutazioni (l’Hiv, presente inizialmente nelle scimmie e passato solo di recente agli uomini, è solo uno dei tanti esempi).
Per questo diventa decisivo scoprire in anticipo quali forme virali, presenti negli animali più affini biologicamente agli uomini (le scimmie in primo luogo), sono destinate a evolversi anche in virus umani. Ecco perché è necessario andare a caccia di questi microrganismi.
Due gli interventi più significativi sulla caccia ai virus alla Conferenza veneziana: quelli del ricercatore americano Nathan Wolfe e della virologa veterinaria Ilaria Capua. E inoltre, una panoramica sui vaccini del futuro di Rino Rappuoli.

RINO RAPPUOLI, vaccinologo e direttore scientifico della Novartis Vaccines
«Fino a qualche tempo fa i vaccini sono stati prodotti seguendo le regole empiriche che Louis Pasteur aveva elaborato intorno al 1890. E nonostante questo, le vecchie formule hanno comunque permesso di ottenere risultati brillantissimi: come dimostrano diversi studi pubblicati recentemente, fra tutte le terapie mediche degli ultimi cento anni, le vaccinazioni sono quelle che si sono rivelate più efficaci, permettendo di ridurre la mortalità del 97%.

Certo, erano farmaci con effetti collaterali anche pesanti, ma nonostante questo hanno portato a risultati positivi impensabili. Adesso le tecniche si sono raffinate e i vaccini di oggi sono nettamente migliori, come grado di sicurezza, rispetto a quelli “vecchi”. Anzi, possiamo dire che sono un’altra cosa. Ma anche altri vaccini, radicalmente nuovi, sono allo studio e permetteranno di rivoluzionare questo settore.

Adesso il 90% dei vaccini viene dato ai bimbi. In un vicino futuro, questa percentuale cambierà, di molto, e nasceranno (stanno nascendo) vaccini anche per la popolazione anziana: vaccini, per esempio, capaci di posticipare di dieci o vent’anni l’insorgenza di un tumore.
Tutto questo avverrà grazie a quella che chiamiamo vaccinologia strutturale: una tecnica che permette di “vedere” la struttura tridimensionale delle proteine del virus e di modificarla, tramite l’ingegneria genetica, per potenziare l’effetto del sistema immunitario. In questo modo l’apparato difensivo dell’organismo diventa capace di riconoscere non solo il ceppo da cui si è partiti per progettare il vaccino, ma anche tutti gli altri in circolazione. Questi nuovi vaccini permetteranno di combattere con particolare efficacia i virus trasformisti, che mutano di continuo: primi fra tutti, quelli dell’influenza e dell’Aids».

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L’intervento di Nathan Wolfe
L’intervento di Ilaria Capua
Gli interventi del primo giorno

SECONDO GIORNO – 20 settembre 2010

NATHAN WOLFE, visiting professor alla Stanford University (Stati Uniti) e direttore della Global Viral Forecasting Initiative

«Da dieci anni, ormai, mi sono abituato a dare molto peso a quelle che vengono chiamate “chiacchiere virali”: notizie, cioè (che arrivano a me e ai miei collaboratori, anche via sms, da venti diverse zone del mondo), su persone che presentano i segni di malattie sconosciute, o comunque poco chiare. Persone, devo subito precisarlo, che vivono a stretto contatto con animali selvatici, soprattutto in Africa e in Asia.
Chi sono queste persone? Agricoltori, o cacciatori, ma anche veterinari. Quando arriva, da qualcuno dei nostri corrispondenti, la notizia di pazienti con malattie “sospette”, mandiamo uno specialista a prelevare il sangue a queste persone. Poi verifichiamo se è presente un’infezione provocata da virus, o altri microrganismi, non conosciuti.

Ma non basta. Con la mia équipe eseguo anche numerosi sopralluoghi “preventivi” sul campo, facendo analisi con attrezzature avanzate e verificando anche le abitudini dei cacciatori o degli allevatori. In più, preleviamo frammenti di tessuto agli animali catturati, per monitorare gli eventuali nuovi microrganismi emergenti.
I problemi di infezione, e di “trasferimento”, dei virus mutati nascono in genere dai contatti fra il sangue degli animali infetti e quello degli uomini, che spesso mangiano la carne delle loro prede senza precauzioni, oppure trasportano le carcasse degli animali sulle spalle, con rischio di contagio piuttosto alto.

Negli ultimi anni abbiamo scoperto, nel sangue di alcuni cacciatori del Camerun, due nuovi virus: l’HTLV-3 e l’HTLV-4, oltre ad altri retrovirus simili all’Hiv. Da allora teniamo sotto controllo in modo costante quelle popolazioni, per capire se questi virus si stanno diffondendo, o restano limitati a piccoli gruppi. Stiamo creando un archivio dei nuovi virus, con contributi che arrivano da centri di ricerca sparsi in molti Paesi. Chiunque abbia segnalazioni, prenda subito contatto con la mia équipe…».

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L’intervento di Ilaria Capua
Gli interventi del primo giorno

SECONDO GIORNO – 20 settembre 2010

ILARIA CAPUA, direttore del Dipartimento di virologia dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie

«Il 70% dei virus che colpiscono gli uomini è di provenienza animale. Di fronte a questo dato, è facile capire quanto sia importante studiare e regolamentare la convivenza fra gli esseri umani e i loro “vicini”. Ma queste precauzioni non vengono applicate in ampie zone del mondo, dove i servizi veterinari sono insufficienti e la prevenzione davvero minima.

Ma perché un virus, dopo una serie di mutazioni (molto frequenti fra questi microrganismi) può passare agli uomini? La risposta va cercata nei recettori presenti sulle cellule, che vengono utilizzati dai virus per infettare un organismo. Ebbene, gli esseri umani hanno recettori comuni con gli uccelli e con i maiali, per esempio. Dunque per il virus diventa abbastanza facile fare il “salto” da una specie all’altra.

Per millenni i nuovi virus sono però rimasti confinati nei luoghi geografici in cui si sviluppavano. Adesso, invece, lo spostamento di grandi masse di uomini da una zona all’altra del mondo ha portato a un’espansione anche di questi micorgranismi.
Insomma, la globalizzazione dei commerci e degli spostamenti ha portato anche a una globalizzazione dei virus… Di fronte a questo problema, per creare sistemi di controllo “universali”, l’Organizzazione mondiale della Sanità, la Fao e altri enti hanno dato il via al progetto One World, One Health.

Si possono fare molte cose concrete, da subito, anche per limitare la diffusione dei virus più “vecchi” e ben conosciuti: per esempio, quello della rabbia, una malattia trasmessa dalle volpi e dagli animali domestici, che se infetta gli uomini risulta mortale. Ogni anno nel mondo muoiono 50.000 persone per questa malattia, soprattutto nei Paesi più poveri. Anche in Europa, in verità, la rabbia è ricomparsa, sia pure con numeri molto più piccoli. E anche alcune zone d’Italia hanno visto riemergere recentemente il virus. Le autorità lo sanno e, almeno qui, sono in allerta…».

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Gli interventi del primo giorno

PRIMO GIORNO – 19 settembre 2010

Dopo anni di rivalità e di polemiche durissime, i due scopritori del virus Hiv, Robert Gallo e Luc Montagnier (che proprio per i suoi studi sull’Aids ha vinto nel 2008 il Nobel per la medicina), si sono ritrovati insieme, per raccontare che cosa si sta facendo nel mondo contro i virus, davanti a una platea affollatissima di esperti, ma anche di persone appassionate e di ragazzi.

Ecco che cosa hanno detto domenica 19 settembre Gallo, Montagnier e Umberto Veronesi, che ha aperto i lavori.

UMBERTO VERONESI

«I virus sono formati solo da un frammento di codice genetico (Dna o Rna), avvolto da una superficie proteica, e si possono vedere unicamente con il microscopio elettronico, perché sono piccolissimi. Eppure sono in grado di provocare danni giganteschi.
Questi microrganismi continuano a rappresentare, per molti aspetti, un mistero. E difficilmente chi si occupa di loro non ne subisce il fascino, perché è come se avessero un’intelligenza, quasi diabolica…

I virus ci spaventano e dunque la maggior parte di noi cerca di rimuovere il problema. Dopo la seconda guerra mondiale, grazie agli antibiotici e ai vaccini, era sembrato che non dovessero più ripresentarsi epidemie pericolose. E invece, da circa trent’anni, ci ritroviamo al centro di una delle più gravi epidemie virali, quella dell’Aids, con 25 milioni di persone morte fino a oggi nel mondo (tuttora il virus Hiv è la prima causa di morte in Africa).
Ma oltre all’Hiv, esistono altri milioni di virus diversi (non tutti così pericolosi, per fortuna). Ne conosciamo, però, solo alcune migliaia…

Nel corso dell’Evoluzione i virus si sono rivolti contro le piante, contro gli stessi batteri, e poi contro gli animali superiori, e infine contro gli esseri umani, in vari modi: oltre alle “aggressioni” dirette, si è calcolato che anche circa il 20% di tutti i tumori ha un’origine virale.

Gli esperti internazionali raccolti a Venezia ci aiuteranno a ipotizzare scenari, e soluzioni. Ed è vero che i virus, come dice il titolo della Conferenza, sono “nemici invisibili”. Ma è altrettanto vero che in molti casi possono anche darci una mano. Diventando, per esempio, il veicolo di farmaci intelligenti, capaci di raggiungere l’organo malato e di depositarli lì, nel punto giusto».

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L’intervento di Luc Montagnier
L’intervento di Robert Gallo

PRIMO GIORNO – 19 settembre 2010

LUC MONTAGNIER

«I virus seguono molte strategie per ottenere il loro unico scopo, che è quello di moltiplicarsi, grazie alle cellule ospiti, in cui penetrano. Il citomegalovirus, per esempio, riesce a bloccare l’interferone, una delle armi più efficaci prodotte dal sistema immunitario.
Altri virus, come l’herpes, si nascondono invece così bene da diventare quasi invisibili all’apparato difensivo dell’organismo.

Il codice genetico degli esseri umani è pieno di frammenti derivati da virus, che durante l’Evoluzione sono entrati nelle cellule e lì sono rimasti. In alcuni casi la loro presenza può costituire un rischio (la parte del Dna danneggiata dal virus può dare il via a problemi o malattie, in seguito, per esempio, a uno stress ossidativo), ma in altre situazioni i virus hanno anche portato vantaggi.
Molti studiosi pensano, per citare un esempio, che la capacità dell’ovocita di insediarsi nella parete dell’utero, legandosi alle membrane di questo organo, sia stata in qualche modo resa più efficiente da alcune sequenze virali “buone”, entrate a far parte del Dna femminile.

Negli utlimi decenni i progressi delle terapie contro i virus sono stati notevoli e adesso esistono decine di farmaci in grado di frenare l’Aids, le epatiti o l’herpes. Sistemi sempre più precisi di analisi molecolari e di sequenziamento dei virus (cioè di «lettura» degli elementi che li costituiscono) aprono anche le porte anche a cure più personalizzate. Sarà una lotta senza fine fra noi e i virus, che variano a grandissima velocità e si adattano ai farmaci. Ma sono fiducioso: sopravviveremo sempre meglio, nei prossimi secoli…».

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L’intervento di Robert Gallo

PRIMO GIORNO – 19 settembre 2010

ROBERT GALLO

«Negli anni 80 non eravamo preparati ad affrontare l’epidemia di Hiv, il virus dell’Aids, per vari motivi. Intanto, dal punto di vista psicologico, si era convinti che l’epoca delle grandi malattie di massa fosse ormai terminata, grazie ai progressi della medicina, e dunque non sono state messe subito in campo dalle autorità sanitarie tutte le forze e le energie necessarie per decodificare e debellare l’Hiv.
Poi c’erano anche preconcetti scientifici, che hanno rallentato la risposta della comunità internazionale: per esempio, si riteneva che i retrovirus, com’è l’Hiv, non fossero in grado di infettare gli uomini.

Adesso tutto è diverso, naturalmente, e le forze in campo per sconfiggere l’Aids sono notevoli, in particolare negli Stati Uniti. Da parte mia, mi sto impegnando, insieme ai colleghi dell’Istituto di virologia umana di Baltimora, per creare un network internazionale di specialisti (Global Virology Network), che unisca le forze di 15 centri di ricerca nel mondo.
La speranza più grande, come si sa, è quella di trovare un vaccino capace di impedire all’Hiv di infettare l’organismo umano, ma l’impresa è quantomai difficile. L’Hiv cambia, infatti, da un paziente all’altro, e da una zona del mondo all’altra.

Ma soprattutto, entra immediatamente, nel giro di un giorno o due, all’interno del codice genetico delle cellule umane, duplicandosi con loro, senza uscirne più. E questo meccanismo è davvero troppo veloce per l’apparato immunitario, che invece ha bisogno di sei o sette giorni, in genere, per riconoscere il «nemico» e reagire in modo adeguato.
Per neutralizzare l’Hiv bisognerebbe bloccarlo subito all’inizio del ciclo infettivo. È un processo che si chiama “immunità sterilizzante”, ma nella storia dei vaccini non è mai stato realizzato. Ci vorrà tempo, non meno di otto anni, credo. Però molte ricerche innovative sono in corso ed è possibile riuscirci.
A Baltimora, nel mio istituto, ci stiamo concentrando su particolari sostanze-bersaglio che sono presenti sull’involucro esterno del virus. Si tratta di molecole, diverse da quelle studiate finora, che provocano una risposta ampia del sistema immunitario, e rapida. I primi risultati lasciano sperare bene».
da Venezia Paolo Rossi Castelli – OK La salute prima di tutto

Ultimo aggiornamento: 21 settembre 2010

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