
Andare in montagna fa bene allo spirito, ma non sempre al cuore. Lo spiega il professor Marco Metra, primario di Cardiologia all’IRCCS Ospedale San Raffaele e ordinario di Cardiologia all’Università Vita-Salute San Raffaele, che abbiamo intervistato per chiarire quali rischi corre chi soffre di problemi cardiaci – e non solo – quando si espone all’altitudine, al freddo e agli sforzi tipici degli sport alpini.
In questo articolo
Professore, perché l’altitudine può essere un problema per il cuore?
Il primo fattore critico è l’altitudine sopra i 2.000 metri. Qui la pressione parziale dell’ossigeno diminuisce, cioè l’aria contiene meno ossigeno. Una condizione che:
- riduce l’ossigenazione del sangue,
- rende più difficile qualunque sforzo fisico,
- aumenta la fatica percepita, anche nelle persone sane.
Non a caso, gli alpinisti sanno bene quanto sia impegnativo camminare in quota rispetto al livello del mare.
A questa prima difficoltà si aggiunge un secondo elemento: gli sport alpini. Sci, ciaspolate, sci di fondo, ma anche le discese in pista sono attività fisicamente intense che aumentano ulteriormente il carico di lavoro sul cuore, proprio mentre l’ossigeno disponibile è minore.
Chi è più a rischio?
Il livello di rischio varia molto in funzione della cardiopatia.
Metra distingue due scenari principali:
1. Ipertensione arteriosa polmonare primaria (rara, ma pericolosa in quota)
Per chi soffre di questa patologia, salire ad alta quota può causare vasocostrizione polmonare e un aumento della pressione nel circolo polmonare. È una condizione rara, ma l’altitudine può essere davvero pericolosa.
2. Cardiopatia ischemica cronica (la più frequente)
È la malattia delle coronarie, spesso trattata oggi con angioplastica o bypass.
Di norma, dopo la terapia, i pazienti possono condurre una vita normale. Il rischio compare solo se residua una certa possibilità di ischemia miocardica, cioè se il cuore fatica ad apportare abbastanza sangue e ossigeno durante lo sforzo.
In questi casi, l’alta quota potrebbe far riaffiorare sintomi come:
- dolore toracico
- fiato corto
- affaticamento anomalo
Il test da sforzo: quando farlo prima di una vacanza sulla neve
Se un cardiopatico vuole sciare, ciaspolare o praticare attività sportive sopra i 1.000-2.000 metri, consiglio di fare un test da sforzo. Serve a valutare se il cuore sopporta adeguatamente un’attività fisica intensa.
Il test consiste nel far pedalare il paziente con un carico crescente, monitorando:
- l’elettrocardiogramma;
- eventuali sintomi di sofferenza cardiaca;
- la risposta pressoria e la frequenza cardiaca.
Se il test è già stato fatto da pochi mesi, non serve ripeterlo. In caso contrario, una valutazione cardiologica pre-partenza può ridurre rischi inutili.
Lo sforzo fisico in laboratorio è spesso più intenso di quello che si fa realmente in montagna, quindi un test negativo offre buona sicurezza.
E chi non sa di essere cardiopatico? Il rischio dopo i 60 anni
Il pericolo più grande riguarda chi non sa di avere un problema cardiaco.
Dopo i 60-65 anni, soprattutto nelle donne dopo la menopausa, aumentano i fattori di rischio:
- ipertensione
- colesterolo alto
- fumo
- diabete
- obesità
- sedentarietà
Capita spesso che una persona sedentaria tutto l’anno decida, presa dall’entusiasmo, di affrontare una ciaspolata o una giornata di sci… e si ritrovi con un primo episodio di angina proprio in montagna.
Per questo, una visita cardiologica di screening può essere utile anche per chi non ha diagnosi ma presenta:
- età avanzata
- fattori di rischio cardiovascolare
- vita poco attiva
Montagna sotto i 2.000 metri: rischio minore, ma non zero
Sotto i 2.000 metri la concentrazione di ossigeno non cala in modo significativo: “il rischio è molto minore”.
Rimangono tuttavia due fattori di stress:
- freddo, che causa vasocostrizione e può aumentare la pressione
- sforzo fisico, spesso intenso se si cammina o si sale in salita
La combinazione può comunque essere impegnativa per chi ha una malattia cardiaca non diagnosticata.
Ipertensione e montagna: che cosa fare?
Gli ipertesi devono adottare una regola semplice: gradualità.
Suggerisco di:
- evitare di arrivare direttamente a 2.000-2.500 metri
- dormire qualche giorno a un’altitudine intermedia
- misurare la pressione dopo uno o due giorni in quota
- monitorare eventuali aumenti significativi
In alcuni soggetti la pressione sale, in altri scende perché si riduce lo stress del lavoro. L’unico modo per saperlo è misurarla.
Il freddo come fattore scatenante di eventi cardiaci
Il freddo non causa l’aterosclerosi, ma è un trigger, un fattore scatenante.
Aumenta l’attività del sistema nervoso simpatico, facendo salire:
- la pressione
- la frequenza cardiaca
Se la persona ha una coronaropatia silente, una giornata di sci o una camminata al gelo può far comparire improvvisamente un dolore al petto. E se questo accade in quota, lontano dall’ospedale, la situazione diventa ancora più critica.
Come andare in montagna in sicurezza?
La montagna non è vietata ai cardiopatici, ma richiede prudenza, soprattutto se si pratica attività fisica intensa o si sale oltre i 2.000 metri.
Riassumendo:
- Sì alla montagna, ma conoscendo la propria condizione cardiaca.
- Test da sforzo consigliato prima di una vacanza attiva.
- Gradualità nell’altitudine per gli ipertesi.
- Attenzione al freddo, fattore scatenante non da sottovalutare.
- Mai improvvisare attività intense dopo mesi di sedentarietà.




