Salute

Convivere con il Covid-19: i fatti di oggi e gli scenari futuri

Le epidemie del passato ci dicono qualcosa in più sull'emergenza che stiamo vivendo oggi? E perché non è così semplice parlare di immunità? Ne abbiamo parlato con Antonio Clavenna, epidemiologo del'Istituto Mario Negri di Milano

È un pensiero martellante: come finirà, quando finirà? A inizio epidemia si aspettava il giorno del liberi tutti. Poi si è capito che da “pausa” non si sarebbe saltati direttamente al “play” e che con il coronavirus bisognava imparare a convivere.

Cosa significa eradicare un virus?

«Le uniche malattie che possiamo definire debellate sono il vaiolo e la poliomielite (in quasi tutte le nazioni del mondo). Grazie a un vaccino il loro virus non è più in circolazione» spiega Antonio Clavenna, epidemiologo del dipartimento di Salute Pubblica Istituto Mario Negri di Milano. «Per altre patologie, invece, la vaccinazione ha permesso di raggiungere l’immunità di gregge o almeno di avvicinarsi, ma il virus circola ancora, con casi poco frequenti se non rari. Tra queste la difterite, il morbillo e tutte le malattie per cui sono previste le vaccinazioni obbligatorie». Ci sono poi i virus che tornano e con cui la convivenza è rodata anche grazie al vaccino stagionale. «È il caso dell’influenza. Ogni anno il suo virus si ripresenta, mutato, colpisce una percentuale della popolazione e poi con la bella stagione scompare».

Gruppo San Donato

Non è escluso che anche il coronavirus possa comportarsi così, ma le conoscenze attuali sono ancora insufficienti per poterlo ipotizzare. «Sicuramente l’estate si presterà meglio al distanziamento sociale, ma non sappiamo se il caldo lo indebolirà» sottolinea Clavenna. «Sulla sua contagiosità abbiamo informazioni contrastanti: da una parte i dati cinesi, secondo cui è più contagioso in un clima freddo e secco, dall’altra le curve epidemiologiche africane, che invece sembrano simili a quelle dei Paesi del nord». Insomma, palla al centro.

Il Sars-Cov-1

Ma il passato ci riserva anche la storia del virus della Sars, che nella primavera-estate del 2003 a un certo punto scomparve. «Pensiamo sia accaduto grazie alle misure di contenimento, che hanno impedito al coronavirus di trovare nuovi ospiti in cui replicarsi» ricorda l’epidemiologo. «Il nuovo coronavirus però è diverso: a differenza della Sars, Covid-19 si trasmette anche attraverso persone che non hanno ancora sviluppato sintomi o sono asintomatiche. Così è difficile individuare i positivi e isolarli affinché non si creino focolai, soprattutto adesso che si stanno facendo tamponi solo a chi ha sintomi importanti».

La corsa al vaccino

In attesa di scoprire quale sarà il destino dell’epidemia e del virus, non resta che aspettare le tappe più importanti: le cure e il vaccino. Come sottolinea Clavenna, «la vaccinazione è ancora lontana e forse se ne parlerà nel 2021», ma per Giovanni Rezza dell’Istituto superiore di sanità nella ricerca contro il Covid-19 c’è stata un’accelerazione di tempi. Come ha riportato la rivista Nature, in tutto il mondo sono 115 i gruppi che stanno studiando un vaccino e di questi cinque hanno già avviato la fase clinica (due in America, tre in Cina). C’è anche un contributo italiano. Arriva da Pomezia, dove l’azienda Advent-Irbm sta facendo importanti passi avanti nella produzione di un vaccino in partnership con il Jenner Institute della Oxford University. Nel 2013 la stessa azienda mise a punto il vaccino italiano contro ebola. La speranza è alta, perché si dice potrebbe essere pronto già a settembre, ma molti esperti smorzano l’entusiasmo ricordando potenziali margini di errore e i tempi di produzione, distribuzione, somministrazione.

vaccino coronavirus

E la famosa immunità di gregge?

Accanto alla parola vaccino, ad attirare l’attenzione e animare il dibattito c’è anche il concetto di immunità di gregge (o di gruppo). Ma, sottolinea l’epidemiologo, «non è una nozione spendibile finché non abbiamo maggiori informazioni sulla risposta immunitaria che si sviluppa dopo aver contratto Covid-19. Non ne conosciamo né la durata né la natura, cioè se si basa sulla presenza di anticorpi IgG oppure sull’azione dei linfociti T».

Anche in questo caso, il comportamento di virus già noti può aiutare a strutturare ipotesi, di certo non a dare risposte. Due gli estremi: «per il coronavirus del raffreddore si sviluppa un’immunità breve, ed è il motivo per cui ci prendiamo più raffreddori in una vita; per la Sars, invece, la risposta immunologica è piuttosto lunga (almeno 2-3 anni), alcuni pazienti hanno anticorpi ancora oggi». Sul nuovo coronavirus dalla Cina non arrivano notizie molto confortanti. In uno studio su 175 pazienti guariti è stata rilevata la presenza di anticorpi solo in un terzo delle persone. Tuttavia la ricerca non è stata ancora approvata dalla comunità scientifica e necessita di approfondimenti. «Se l’immunità sviluppata dopo Covid-19 dovesse essere breve, l’immunità di gregge potrebbe non essere mai raggiunta e, come accade per l’influenza, il vaccino diventerebbe stagionale» ipotizza l’epidemiologo.

I test sierologici

Ciò che serve ora è un’indagine epidemiologica con test sierologici per capire se e quante persone hanno sviluppato gli anticorpi. «I dati che abbiamo oggi sulle persone positive sottostimano di molto il numero reale» riprende Clavenna. Più di uno studio (tra cui un’indagine del dipartimento di statistica epidemiologica dell’Università di Milano e un lavoro europeo dell’Imperial College di Londra) ha stimato che in Italia il numero dei contagiati potrebbe aggirarsi intorno ai 6 milioni.

«Il dato sull’immunità serve per ripartire in modo più sicuro. Anche se per molti mesi dovremo seguire le regole di distanziamento sociale, proteggerci con mascherine e riguardare le persone più fragili. Tuttavia, adesso che la curva epidemica sta rallentando e le pressioni sul sistema sanitario si allentano, si deve cambiare strategia andando più a fondo nella ricerca dei positivi. Cercare chi è infetto, non solo in modo grave, andare nelle case, individuare chi ha pochi sintomi o, quando possibile, nessun sintomo, gestire queste persone e i loro contatti. Soprattutto in Lombardia».

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Convivere con il Covid-19

Il ritorno alla vita “di prima” sarà possibile solo con un vaccino o la scomparsa del virus. Detto ciò, non significa che dovremo restare in casa fino a quel momento. Si prevede una maggiore mobilità e vita sociale grazie all’impiego di una app che controllerà i nostri movimenti e contatti con persone infette e una serie di cambiamenti all’interno di locali, uffici e mezzi pubblici per garantire il distanziamento sociale.

L’uso della mascherina sarà probabilmente obbligatorio. «Va utilizzata in modo corretto e in aggiunta a igiene e distanziamento sociale, altrimenti non fa altro che generare un falso senso di sicurezza» conclude Clavenna. «Le mascherine che dovrebbe usare la popolazione sono quelle chirurgiche usa e getta. Ma non sono ancora disponibili per tutti e nemmeno per chi ne ha più bisogno, come operatori sanitari e chi assiste i pazienti. Così le persone sono costrette a riutilizzare la stessa più volte, seguendo consigli di igienizzazione domestica non validati scientificamente. In alternativa, ci vorrebbero indicazioni precise da parte delle istituzioni sanitarie, come fatto negli Stati Uniti, sulla possibilità di utilizzare mascherine di cotone lavabili».

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