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Cancro al colon retto: quali sono i test non invasivi?

Molte persone evitano i controlli per paura della colonscopia, ma ci sono esami non invasivi per tenere sotto controllo la situazione

I test non invasivi per cancro al colon retto sono fondamentali per la prevenzione. È stato il secondo tumore più letale nel 2022, preceduto solo da quello al polmone. Fare dei controlli regolari è il modo migliore per occuparsene. Gli screening devono cominciare dai 45 anni, visto che negli ultimi tempi abbiamo assistito a un forte aumento di casi tra le persone sotto i 50 anni.

Le nuove raccomandazioni spingono chiunque tra i 45 e i 75 anni anche senza sintomi e senza una storia familiare di sottoporsi a questi controlli. Che tipi di test non invasivi esistono per la prevenzione del cancro al colon retto? Va detto che il sistema più certo resta la colonscopia. Ci sono delle operazioni di preparazione che vanno fatte prima di sottoporsi a questo esame.

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Test non invasivi per cancro al colon retto: esami delle feci

È l’opzione meno invasiva e va ripetuto ogni anno. Non si possono assumere farmaci antinfiammatori nei sette giorni che lo precedono. Nei tre giorni precedenti meglio astenersi dal consumo di carne rossa, agrumi e integratori a base di vitamina C. Se il test individua qualche segnale, bisogna sottoporsi a una colonscopia. Individuare tracce di sangue nelle feci non significa automaticamente avere il cancro al colon, i motivi possono essere moltissimi, come ad esempio delle “semplici” emorroidi.

Test del DNA delle feci

Le cellule tumorali possono avere mutazioni nel DNA. Questo test può individuarli. È sufficiente farlo una volta ogni tra anni. Anche in questo caso se si scopre qualcosa, è comunque necessario fare una colonscopia.

Test non invasivi per cancro al colon retto: la scoperta dello IEO

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia ha scoperto un nuovo fattore prognostico per il tumore del colon retto. Gli scienziati hanno individuato una popolazione di cellule immunitarie. La loro presenza nel tessuto tumorale aiuta a capire se i pazienti, dopo l’operazione, sono ad alto rischio di recidiva e necessitano quindi di cure mirate. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communications.

Il problema delle recidive del cancro al colon retto

“Oltre il 40% dei pazienti con tumore del colon retto va incontro a una recidiva dopo l’intervento chirurgico, indipendentemente dalla terapia che segue, ma non riusciamo a prevedere a priori quali”. Luigi Nezi è direttore dell’Unità di Microbiome and Antitumor Immunity in IEO e co-responsabile dello studio. “Definire nuovi e più precisi criteri per prevedere il rischio di ripresa della malattia è una delle priorità per la cura di questo tumore, il terzo più diagnosticato al mondo. Una stratificazione dei pazienti in base al rischio di recidiva consentirebbe non solo di fornire cure più mirate, ma anche di evitare trattamenti non necessari. Per questo, insieme a un gruppo di chirurghi, oncologi medici ed infermieri, abbiamo intrapreso questo studio”.

Cosa ha scoperto la ricerca?

I ricercatori hanno analizzato le caratteristiche molecolari dei tessuti intestinali tumorali e non tumorali in campioni di oltre 40 pazienti. “Abbiamo osservato che i tumori maggiormente infiltrati da neutrofili dalla peculiare alta espressione della molecola CD15 contengono anche molte cellule immunitarie di tipo T CD8 effettrici di memoria. Queste ultime sono solitamente associate a una efficace risposta antitumorale. In presenza dei neutrofili-CD15high, però, producono invece alti livelli di Granzima K (GZMK), una molecola in grado di rimodellare i tessuti circostanti il tumore e favorirne l’aggressività”. Teresa Manzo è co-responsabile dello studio e a capo dell’Unità di Immunometabolism and Cancer Immunotherapy in IEO.

Cosa sono i neutrofili?

“I neutrofili sono tra le prime cellule del sistema immunitario ad arrivare nella sede dell’infiammazione, dove contribuiscono sia a neutralizzarne la causa sia, in un certo senso, a sanificare il microambiente. Tuttavia è essenziale che il loro intervento sia controllato e limitato, altrimenti contribuirebbero a cronicizzare anziché risolvere l’infiammazione. Le nostre analisi hanno invece dimostrato che, nei tumori colorettali, spesso i neutrofili rimangono attivi. In questo modo promuovono la produzione di Granzima K da parte delle T CD8, rendondo queste ultime pro-tumorigeniche”. Silvia Tiberti è prima autrice dell’articolo.

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Francesco Bianco

Giornalista professionista dal 1997, ha lavorato per il sito del Corriere della Sera e di Oggi, ha fatto interviste per Mtv e attualmente conduce un programma di attualità tutte le mattine su Radio LatteMiele, dopo aver trascorso quattro anni nella redazione di Radio 24, la radio del Sole 24 Ore. Nel 2012 ha vinto il premio Cronista dell'Anno dell'Unione Cronisti Italiani per un servizio sulle difficoltà dell'immigrazione. Nel 2017 ha ricevuto il premio Redattore del Gusto per i suoi articoli sull'alimentazione.
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