
Dopo aver vietato lo scorso anno l’uso dei cellulari nei primi ordini di scuola fino alla terza media, con una nuova circolare emanata a giugno il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha esteso il divieto anche alle scuole superiori. Il provvedimento vale per tutto il tempo di permanenza nelle aule e vieta l’utilizzo dei dispositivi anche per scopi didattici, con l’unica eccezione dei casi in cui i piani di studio personalizzati, redatti su misura delle necessità di alunni con disturbi specifici dell’apprendimento e bisogni educativi speciali, prevedano l’utilizzo degli smartphone come strumento compensativo.
Resta consentito infine l’uso dei cellulari nei percorsi didattici degli indirizzi di studio di informatica e telecomunicazioni. È sempre la circolare a demandare a ogni singola scuola, nella figura del dirigente e degli insegnanti, l’applicazione concreta della direttiva suggerendo anche l’impiego di specifiche sanzioni disciplinari per chi non rispetti il divieto.
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Stop al cellulare in classe: cosa dicono gli studi condotti finora?
«Numerosi studi hanno mostrato che la presenza dello smartphone, anche se spento oppure non utilizzato, può aumentare il rischio di disturbi dell’attenzione, con un conseguente calo della concentrazione e una ripercussione sulle attività di apprendimento e sulle competenze cognitive in generale», spiega Elisa Fazzi, presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sinpia), professore ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università degli Studi di Brescia e direttore di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, Asst-Spedali Civili di Brescia.
In particolare, in supporto alla decisione di vietare gli smartphone a scuola, il ministro Valditara ha fatto riferimento a uno studio condotto nel 2024 dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che ha evidenziato l’impatto negativo sul rendimento scolastico dell’uso del telefonino e della navigazione sui social.
L’attesa di messaggi e notifiche distrae
«La presenza costante dello smartphone, persino se momentaneamente riposto nello zaino, attiva meccanismi di dopamina anticipatoria: la sola attesa di un messaggio in arrivo o di una notifica favorisce in sostanza il rilascio di questo neurotrasmettitore direttamente legato alla sensazione di piacere», fa sapere Barbara Bove Angeretti, psicologa e coordinatore genitoriale. «L’attivazione di questo meccanismo è incompatibile con l’attenzione consapevole, soprattutto nei ragazzi particolarmente sensibili alla gratificazione immediata: in quest’ottica rimuovere lo stimolo dello smartphone può essere di supporto nel creare un ambiente scolastico più regolato e meno dispersivo».
Nel Regno Unito lo stop al cellulare in classe è già attivo da un anno
Ma la questione non è così semplice. «Restando in tema di studi, occorre prendere in considerazione quelli effettuati in paesi come il Regno Unito, dove già dal 2024 le linee guida impongono ai minori di 16 anni di tenere i cellulari spenti negli zaini per tutta la giornata, anche durante l’intervallo e la pausa pranzo», riprende la professoressa Fazzi. «Se da un lato una ricerca condotta dalla London School of Economics ha evidenziato come subito dopo il divieto le performance scolastiche siano migliorate, in particolare tra gli studenti con difficoltà di apprendimento, altre analisi più recenti sottolineano come il miglioramento non sia uniforme e sia legato in modo particolare alla maniera con cui viene messa in atto la misura».
Verosimilmente, c’è grande differenza tra un cellulare che viene tenuto spento nello zaino, ma è pur sempre accessibile da parte dello studente, e uno consegnato all’insegnante o addirittura lasciato a casa per l’intera durata delle lezioni. «Scuole che invece hanno puntato maggiormente sulla regolazione responsabile nell’uso dello smartphone, piuttosto che su un divieto assoluto, hanno ottenuto risultati simili o migliori in termini di coinvolgimento e responsabilità, anche se in tempi più lunghi» commenta ancora la presidente della Sinpia.
In alcuni studenti questo divieto potrebbe creare disturbi ansiosi
Non si possono poi trascurare le situazioni particolari. «Ad alcuni ragazzi, soprattutto quelli abituati a una connessione costante, l’impossibilità di controllare i messaggi durante le ore trascorse a scuola può creare ansia e generare quella che si definisce “Fomo”, acronimo inglese di “fear of missing out”, la paura di essere esclusi da esperienze positive o eventi che coinvolgono altre persone: questo alza i livelli di stress, induce insoddisfazione portando a sintomatologie ansioso-depressive», precisa la neuropsichiatra infantile. «In questi contesti diventa fondamentale accompagnare il cambiamento delle regole scolastiche offrendo un supporto emotivo al ragazzo e favorendo la comunicazione con le famiglie».
Le fa eco la psicologa Bove Angeretti: «La separazione violenta dallo smartphone rischia di generare uno stato di allerta costante nei ragazzi più ansiosi, in quelli esposti molto precocemente agli schermi e anche in quelli con dinamiche familiari problematiche. In queste situazioni il divieto rigido e non contestualizzato può peggiorare la regolazione emotiva e aumentare l’ansia, suggerendo l’intervento dello psicologo scolastico, che diventa fondamentale per supportare il benessere psicologico degli alunni in questione».
Lo stop al cellulare in classe non deve essere imposto come una punizione
«Non si può escludere poi il rischio che un divieto rigido, come già successo nel caso del fumo, venga percepito come una forma di repressione spingendo, in una sorta di sfida, alla messa in atto di stratagemmi per aggirarlo, meccanismo tipico e direi normale negli adolescenti», commenta la professoressa Fazzi.
Tra l’altro, «se il divieto durante le ore scolastiche non è accompagnato da una riflessione e da un’azione educativa forte e proattiva, è possibile che i ragazzi “recuperino” quel tempo nel pomeriggio o sera, magari in modo ancora più compulsivo. Per evitare questa possibile deriva è fondamentale che la misura sia accompagnata da un dialogo chiaro con gli studenti spiegando loro il perché della scelta e coinvolgendoli in maniera diretta nella costruzione delle regole. Questo partendo sempre dal presupposto che un divieto imposto dall’alto senza partecipazione rischia di essere meno efficace».
A maggior ragione in un’età delicata come l’adolescenza, quando è forte la spinta verso l’autonomia e l’autodeterminazione. «Più la norma viene vissuta come strumento punitivo o autoritario, più aumenta il rischio di trasgressione nascosta», commenta la psicologa. «Se il divieto viene percepito come un’imposizione arbitraria degli adulti, soprattutto quando essi stessi fanno uso indiscriminato dello smartphone, senza che si sia inserito in una chiara cornice educativa e relazionale, può essere vissuto come una limitazione della libertà personale, generando reattanza psicologica, un meccanismo inconscio che porta a ribellarsi, ignorare o aggirare la regola, proprio per riaffermare il proprio controllo».
È necessario pianificare un’educazione digitale
«Se un divieto può essere utile come primo passo per rompere un’abitudine dannosa come quella di un utilizzo smodato dello smartphone, da solo non basta per generare comportamenti virtuosi», commenta la neuropsichiatra. «L’obiettivo a lungo termine dovrebbe essere infatti l’educazione digitale: consapevolezza, autonomia e senso critico nell’utilizzo dello smartphone. L’importante compito della scuola non è solo quello di imporre regole, ma anche di formare futuri cittadini digitali: parafrasando il titolo di un interessante testo di Michele Marangi, docente di Didattica e tecnologie dell’Istruzione Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, occorre “addomesticare gli schermi” per renderli utili, flessibili e positivi per la vita quotidiana dei ragazzi di oggi che saranno gli adulti di domani.
Questa è sicuramente la via più difficile e impegnativa per educatori e genitori: come per qualsiasi strumento potente, anche per lo smartphone serve un’educazione all’uso. Integrare il cellulare in alcune attività didattiche (ricerca, uso di app educative, strumenti per quiz e valutazioni) può trasformarlo da fonte di distrazione a risorsa. Il risultato finale dovrebbe essere l’autonomia digitale, non la proibizione cieca».
Stop al cellulare in classe: tre consigli ai genitori
«Il divieto all’uso dello smartphone in classe diventa davvero efficace solo se si integra nel contesto familiare», commenta la psicologa Barbara Bove Angeretti, che fornisce tre suggerimenti:
- Stabilire orari e luoghi “screen-free” anche a casa. Ad esempio, si può decidere di non usare il telefonino durante i pasti o dopo una certa ora serale.
- Offrire alternative piacevoli, tenendo ovviamente conto dell’età del ragazzo: sport, lettura o incontri con gli amici possono venire incontro ai bisogni di socialità e svago senza necessariamente passare dal digitale.
- Educare con l’esempio: un genitore che rimane continuamente connesso vanifica il messaggio educativo. Prima di insegnare ai figli, è necessario che anche gli adulti riconoscano e affrontino i propri “automatismi digitali”: in caso contrario qualsiasi regola educativa rischia di essere arbitraria e incoerente. L’educazione alla tecnologia deve cominciare in famiglia e dai modelli che i ragazzi osservano ogni giorno.
Testo di Alberta Mascherpa