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Diabete: un nuovo farmaco avvicina la cura con il trapianto

La ricerca è italiana: nasce al San Raffaele di Milano. Ed è italiana l'azienda che finanzia il progetto, la Dompè farmaceutici. Il sostegno internazionale è italiano: del Centro di ricerche sul diabete di Miami, guidato da Camillo Ricordi, uno dei più prestigiosi negli Stati Uniti. Tutto questo ruota intorno al Reparixin, molecola che inibisce la risposta infiammatoria nel trapianto di isole pancreatiche, per i casi di diabete di tipo I.

La ricerca è italiana: nasce al San Raffaele di Milano. Ed è italiana l’azienda che finanzia il progetto, la Dompè farmaceutici. Il sostegno internazionale è italiano: del Centro di ricerche sul diabete di Miami, guidato da Camillo Ricordi, uno dei più prestigiosi negli Stati Uniti. Tutto questo ruota intorno al Reparixin, molecola che inibisce la risposta infiammatoria nel trapianto di isole pancreatiche, per i casi di diabete di tipo I.

I risultati durante la sua sperimentazione sono andati oltre le aspettative, al punto che era stato chiesto all’Ema, l’agenzia europea peri farmaci, di passare subito allo sviluppo clinico (Fase III). «La molecola si era dimostrata così efficace», ha spiegato Lorenzo Piemonti, direttore del programma di trapianto di isole pancreatiche al San Raffaele, «da modificare il protocollo sperimentale».

Gruppo San Donato

Il diabete I colpisce gli under 16 e conta circa 480 mila malati nel mondo ed è conseguenza di un disordine immunologico che fa produrre autoanticorpi che attaccano le cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina. Se la malattia è acuta e c’è resistenza all’insulina, i pazienti hanno crisi frequenti, e gravi soprattutto per i reni, di ipo e iperglicemia.

La prima risposta chirurgica è stata il trapianto di pancreas, poi ha preso piede anche il trapianto di isole pancreatiche, produttrici di insulina. Le isole vengono immesse nel fegato, dove riescono a mantenere la propria funzionalità.

Comunque le isole garantiscono il controllo della glicemia, anche grazie alla nuova molecola che ne previene la distruzione. Perciò Piemonti è convinto che «la molecola può contribuire a strategie terapeutiche che potrebbero fermare il diabete all’inizio». Se fosse così sarebbe, dal punto di vista scientifico, una scoperta dirompente. «I prossimi studi di fase III dovranno dimostrare l’efficacia della molecola non solo come antirigetto – dice il professore – ma come “salvatrice” delle cellule beta: il diabete potrebbe essere bloccato al suo esordio».

Fonte Repubblica

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