Benessere

Scacchi: benefici a tutte le età

Favoriscono la socialità, rallentano il decadimento mentale ma non solo: Anania Casale, addetto stampa della Federazione Scacchistica italiana spiega perché fa bene giocare con pedine e scacchiera

Chi ha iniziato a praticarli sa perfettamente che gli scacchi regalano tutte le emozioni che lo sport sa dare, e anche di più: la gioia della vittoria, l’amarezza della sconfitta, la tensione snervante del momento in cui ci si rende conto di essere a un momento decisivo, la fierezza dell’aver trovato la mossa giusta al momento giusto, e il rimpianto per non esserci riusciti.

Ma quello che forse è meno noto è che gli scacchi, come altri sport, fanno bene, non tanto al fisico ma alla mente. Vale soprattutto per i ragazzini dai sei ai 18 anni, che in Italia come in quasi tutto il mondo sono la maggioranza dei praticanti, ma anche per gli adulti e gli anziani. La pratica degli scacchi dona degli skills, delle abilità, che servono ai giovanissimi non solo a migliorare il loro rendimento a scuola, ma anche a orientarsi meglio nel mondo che li circonda, favorendo la socialità, il rispetto delle regole, la capacità di concentrarsi e gestire il tempo, e molte altre doti che verranno utili al momento di entrare a pieno titolo nella società.

Gruppo San Donato

Gli scacchi migliorano l’apprendimento scolastico

I benefici degli scacchi sul rendimento scolastico sono indagati da tempo, al punto che è viva la discussione sulla possibilità di inserirli come materia obbligatoria, cosa che molti sconsigliano, perché sostituirebbe il dovere al divertimento, e probabilmente vanificherebbe gran parte dei vantaggi. Sembra accertata ad esempio la loro utilità nel favorire l’apprendimento della matematica, come spiega Giovanni Sala, Assistant Professor presso l’Institute for Comprehensive Medical Science della Fujita Health University, in Giappone, e autore, con Fernand Gobet, di un’ampia metanalisi degli studi fatti a livello mondiale su questo argomento.

Prima di tutto però, bisogna sgomberare il campo da un pregiudizio: gli scacchi non fanno diventare più intelligenti: «Se per “intelligenza” si intende la capacità cognitiva in generale o l’intelligenza fluida, cioè l’abilità di risolvere problemi non verbali nuovi indipendentemente dal contesto, la risposta è no», precisa Sala. «Per quella che è la mia esperienza di ricerca, nessuna attività a noi conosciuta migliora l’intelligenza, almeno in soggetti normodotati». Appare più vero il contrario, vale a dire che le persone intelligenti apprezzano di più gli scacchi. Di nuovo Sala: «Quello che sembra abbastanza chiaro dagli studi è che c’è una correlazione fra intelligenza (specialmente non verbale) e abilità scacchistica». Un beneficio chiaro, come si accennava prima, è quello che riguarda l’apprendimento della matematica. «Alcuni concetti matematici di base possono essere veicolati molto facilmente con gli scacchi, purché li si renda espliciti durante l’insegnamento. Lo spazio euclideo e l’aritmetica sono gli esempi più ovvi».

Una conferma arriva da Roberto Trinchero, professore ordinario di pedagogia sperimentale presso il Dipartimento di filosofia e scienze dell’educazione dell’Università di Torino, che ha svolto più ricerche a livello nazionale, in collaborazione con istruttori della Federazione scacchistica italiana (Fsi). Il risultato? «Negli allievi a cui venivano insegnati gli scacchi», dice Trinchero, «abbiamo notato un significativo incremento delle competenze in matematica. Tale incremento nelle classi che facevano parte della sperimentazione era superiore a quello delle classi di controllo. La cosa più importante non è tanto il gioco in sé, quanto l’approccio che ha l’istruttore. Se l’istruttore si limita a spiegare come si muovono i pezzi e a far giocare i ragazzi, questo non ha effetti sull’apprendimento della matematica. Se invece insegna le strategie, le modalità per riflettere sulle conseguenze delle proprie mosse, aiuta in questo modo i ragazzi a pianificare, sviluppa una serie di capacità e di atteggiamenti che sono utili non solo negli scacchi, ma anche nella matematica e in altri ambiti della vita».

Aiutano a sviluppare l’autoriflessione

Gli scacchi infatti inducono i giovanissimi a sviluppare l’autoriflessione, che Trinchero descrive così: «La capacità di fermarsi durante quello che si sta facendo per riflettere, per capire se davvero è coerente con i propri obiettivi oppure no; insomma, la capacità di non agire impulsivamente, capacità che non è comune nei bambini e negli adolescenti, e nemmeno negli adulti. Si impara a pensare prima di agire, e a riflettere sul motivo per cui hai agito in un certo modo. Inoltre riesci a capire che le stesse cose le puoi fare in modo differente con strategie diverse, e ogni strategia ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi». Beneficio che poi si riversa in tutte e materie scolastiche: ad esempio un bambino scacchista magari rileggerà con più attenzione il tema prima di consegnarlo alla maestra. Oppure sarà più bravo a selezionare, di un libro, le parti che davvero sono utili, e a valutare il tempo che serve per impararle, perché un’altra grande utilità degli scacchi è l’abitudine a gestire saggiamente il tempo, una qualità insita nel gioco.

Gli scacchi aiutano nella socializzazione

E poi ci sono delle lezioni «morali» che gli scacchi aiutano a far proprie, e che possono aiutare a completare l’educazione dei giovani. «Si può dire che gli scacchi insegnano a non dare la colpa agli altri dei propri insuccessi: è uno dei pochissimi giochi in cui non c’è l’elemento aleatorio; nei giochi di carte ci si può appellare alla sfortuna, nel calcio o nella pallacanestro un rimbalzo della palla può fare la differenza, o si può dare la colpa all’arbitro. Negli scacchi, se vinci oppure perdi è solo merito o colpa tua», dice Trinchero. Non solo: nelle nuove scuole multietniche gli scacchi, grazie alla loro universalità, possono diventare un linguaggio comune tra ragazzi che magari fanno fatica a socializzare tra loro perché non parlano la stessa lingua. «In questi contesti il gioco», conclude Trinchero, «ha una valenza aggregativa, perché permette di rompere il ghiaccio anche con persone con cui in altro modo non riusciresti a comunicare».

A dimostrazione che gli scacchi, al contrario degli stereotipi, non sono un gioco per «cervelloni», ma anzi possono aiutare chi ha difficoltà scolastiche di ogni genere, c’è un’esperienza riportata dalla psicologa Maria Rosa Fucci e dal neuropsichiatra Roberto Miletto nel libro A scuola con i re, di Giuseppe Sgrò, che costituisce al momento la migliore raccolta in lingua italiana delle ricerche sui benefici cognitivi e comportamentali degli scacchi. Ebbene, a Pomezia a un gruppo di ragazzi Bes, vale a dire con bisogni educativi speciali, è stato insegnato a giocare a scacchi, con risultati eccellenti, sia a casa sia a scuola. «Il comportamento», dicono i due ricercatori, «è modificato in modo netto, per tutti. A scuola vengono ora regolarmente con il materiale, poi si mettono più facilmente in gioco, aprono i libri, affrontano le richieste con meno preoccupazione dell’errore possibile, tollerano meglio le frustrazione; l’attenzione è incrementata, i compiti tendono a essere portati a termine, c’è un maggior uso del diario».

Gli scacchi come forma di prevenzione del bullismo

Ottimi risultati sembra dare l’insegnamento degli scacchi anche nel contrastare una piaga che negli ultimi anni si è fatta sempre più preoccupante, quella del bullismo. Sempre in A scuola con i re, ci sono ben due capitoli dedicati a questa funzione benefica. In uno, la psicologa Eleonora Di Terlizzi spiega che «gli scacchi sono uno sport che ha funzione socializzante; all’interno del gruppo il bambino può sperimentare nuove relazioni sociali in un contesto educativo in cui vige il principio dell’eguaglianza, dove cioè, a differenza che nel bullismo, i giocatori sono posti sullo stesso piano rispetto alle regole da seguire e alle possibilità di azione e non c’è mai un vincitore a priori. Inoltre i ruoli non sono così statici come succede ai bulli e alle vittime: in ogni partita tutto viene rimesso in gioco, si può vincere e si può perdere. Tale processo è funzionale non solo per i potenziali bulli, che comprendono così di non essere invincibili né onnipotenti, ma anche per le potenziali vittime, che possono sperimentare sulla scacchiera successi e innalzare, in questo modo, la loro autostima».

Anche Carla Mircoli, insegnante e istruttrice di scacchi, dall’alto della sua esperienza sostiene che gli scacchi possono diventare un ottimo mezzo educativo e di prevenzione del fenomeno del bullismo perché lo scacchista:

  • prevale con la forza delle idee, mentalmente;
  • ha rispetto degli altri e dell’avversario;
  • ha il controllo del suo istinto, riconosce le emozioni, comprende competizione e paura per la partita, gioia e soddisfazione per la vittoria, ma anche rabbia e dispiacere per la sconfitta;
  • rispetta le regole che fanno parte del gioco;
  • riesce a mettersi nei panni dell’avversario, empaticamente;
  • è responsabile delle mosse e delle conseguenze sul piano del gioco;
  • durante la partita alterna attacco e difesa;
  • conosce i suoi limiti ma anche le sue possibilità di vittoria;
  • sceglie di chiamare l’arbitro e far rispettare le idee».

Aiutano a sviluppare strategie vincenti

Ma non finisce qui: c’è anche chi teorizza che gli scacchi diano preziose competenze per il mondo del lavoro che ogni bambino di oggi dovrà affrontare in futuro. Al punto che la capacità o meno di giocare a scacchi potrebbe diventare una delle domande cruciali in un colloquio di lavoro. Uno dei più convinti fautori di questa tesi è l’ex campione del mondo Garry Kasparov, secondo cui l’abilità dello scacchista nel valutare le opportunità, anticipare il futuro e sviluppare strategie vincenti può indicare per analogia la strada da seguire nell’affrontare i problemi aziendali. Ancora in A scuola con i re, Luigi Maggi, esperto di risorse umane e attuale presidente della Federazione scacchistica italiana, insieme al matematico Ugo Merlone e alla psicologa Giada Tonelli, sviscera il tema sostenendo che «la ricchezza e la profondità della teoria scacchistica possa essere proposta efficacemente anche nello sviluppo di competenze relative alle tecniche decisionali e di problem solving. L’uso di concetti come, ad esempio, lo sfruttamento della case forti, il miglioramento del coordinamento dei pezzi, l’iniziativa, lo sfruttamento dei vantaggi dinamici o di quelli statici possono inserirsi molto bene nell’approccio logico del processo di risoluzione dei problemi definito “modello razionale”».

Gli scacchi possono aiutare anche nel campo della gestione e conduzione dei gruppi di lavoro: si tratta di imparare a gestire i propri collaboratori come i pezzi sopra la scacchiera: dare a ognuno precise competenze, lasciare che curino il proprio campo d’azione, saperli spostare nel modo migliore se necessario. «Infatti nello svolgimento del suo lavoro quotidiano il manager deve affidarsi a “un principio di realtà”, quello di utilizzare al meglio le risorse umane a lui affidate per raggiungere obiettivi organizzativi peraltro sempre più sfidanti». E gli scacchi, con il loro pensiero strategico, insegnano proprio questo.

Migliorano la capacità di effettuare saggi investimenti finanziari

Alcuni hanno collegato l’apprendimento degli scacchi alla capacità futura di effettuare saggi investimenti finanziari. Lo testimonia una recente ricerca (maggio 2021) sugli studenti di scuole primarie condotte da due università australiane, Monash University e Deakin University: a un gruppo di ragazzi sono stati insegnati gli scacchi, a un altro no. Ebbene si è visto che il primo gruppo aveva maturato una maggiore propensione ad assumersi dei rischi, e una miglior attitudine a calcolare a effettuare in modo preciso l’analisi costi-benefici dei loro comportamenti. Una minore avversione al «rischio buono», cioè quello ben meditato e non imprudente, è proprio la differenza che corre tra un eccellente investitore e uno avventato, oppure troppo prudente per far fruttare i propri soldi. Anche se i ricercatori sostengono che la capacità di assumersi rischi e di saperli calcolare è un eccellente «asset» anche in molti altri campi della vita, compreso quello sentimentale.

Uno scudo all’Alzheimer

Sono quindi molti i vantaggi per i bambini e per i ragazzi che si preparano all’età adulta. Ma sono sempre più numerosi anche gli studi che testimoniano quanto gli scacchi siano utili per gestire una vecchiaia serena, in buona salute e con il cervello sveglio e in continuo movimento. Prima di tutto, è dimostrato da vari esempi che anche in età avanzatissima si può giocare a livelli di eccellenza. Come l’ex sfidante al Campionato del mondo 1978 e 1981 Viktor Korchnoi, che a 77 anni, nel 2006, era ancora una fortissima «prima scacchiera» per la Svizzera alle Olimpiadi di Torino. O l’ex campione italiano Enrico Paoli, che ha giocato il suo ultimo torneo magistrale a 96 anni.

Ma questo è il meno: ormai è accertato che gli scacchi rallentano l’invecchiamento della mente, e possiedono la capacità di frenare le malattie degenerative come l’Alzheimer. In un recente articolo il quotidiano spagnolo El País cita un esperimento condotto presso l’Albert Einstein Institute di New York. A un gruppo di persone con più di 75 anni sono state insegnate varie attività: giochi cerebrali, palestra, apprendimento delle lingue, del modo di suonare strumenti musicali, passeggiate in montagna, dibattiti, e così via. Coloro che hanno aumentato la riserva cognitiva (che è una sorta di serbatoio cerebrale, più è piena, minore è il rischio di demenza senile) in un’età in cui è normale che invece diminuisca sono stati quelli che giocavano a scacchi e a bridge, seguiti da quelli che si dedicavano alla danza.

El País cita anche l’aneddoto di un giocatore di scacchi inglese che a 73 anni ha iniziato a soffrire di qualche sintomo tipico dell’Alzheimer, uno dei quali era la difficoltà a «calcolare» più di cinque mosse, invece delle dieci di cui era capace di solito. La situazione è rimasta sotto controllo per molti anni, e fino alla sua morte lo scacchista non aveva mai perso la sua autonomia. All’autopsia, i medici hanno scoperto, con loro stupore, che le placche di beta-amiloide (uno dei termometri della demenza senile) corrispondevano a un caso terminale di Alzheimer. In altre parole, la riserva cognitiva di quest’uomo era così potente da aver ritardato i sintomi esterni della malattia a un livello mai visto prima. Del resto, è statisticamente provato che tra gli scacchisti i casi di demenza senile siano molto inferiori al resto della popolazione.

Gli scacchi sono un’ottima ginnastica mentale

Sul tema interviene Luigi Ruvolo, istruttore Fsi dell’Accademia scacchi di Milano, specializzato nell’insegnamento del gioco agli anziani: «La mia esperienza mi suggerisce che i benefici degli scacchi per gli anziani sono di due ordini diversi. Il primo è quello diretto sulla salute: gli scacchi sono una straordinaria ginnastica mentale, perché impegnano diverse aree del cervello, e possono tenerlo in allenamento, prevenendo la senescenza e il decadimento mentale. Ma non è nemmeno questo il vantaggio più tangibile che il gioco può offrire agli anziani. Quello principale è di ordine psicologico: li aiuta, esattamente come avviene nei bambini, a conservare e sviluppare la voglia di apprendere, a non ripiegarsi su se stessi».

E qui viene fuori uno dei benefici meno scontati degli scacchi, visti spesso come gioco individuale, che isola dagli altri, mentre è vero il contrario. «Per una persona in età avanzata la possibilità di iscriversi a un circolo, venire a giocare il pomeriggio, incontrare tanti amici con cui scambiare quattro chiacchiere e raccontarsi la vita è un privilegio impagabile, che aiuta a vincere l’isolamento, la sensazione di non sapere bene cosa fare, tipico di chi ha pochi impegni sociali e familiari. Gli scacchi contribuiscono a socializzare, e a legare nuovamente le persone a una prospettiva di vita». E a non perdere contatto con i giovani, perché se c’è una cosa bella degli scacchi, è proprio che danno la possibilità di mettersi a confronto, ad armi pari, vecchi e bambini, una caratteristica che non ha eguali in altri sport.

«Gli scacchi sconfiggono il gap generazionale», dice Ruvolo, «ed è questa anche la motivazione che spinge tante persone in età avanzata a seguire dei corsi per principianti: avere un terreno comune con i nipoti, che magari stanno imparando il gioco a scuola. È il caso di due signore ultraottantenni, in perfetta salute fisica e mentale, che stanno seguendo i miei corsi: la loro motivazione principale era trovare un punto di contatto con i nipotini, ma strada facendo sono diventate le più entusiaste del gruppo, seguono con attenzione, fanno domande, cercano sempre qualcuno con cui giocare». E ci sono tanti esempi, anche a livello amatoriale, di scacchisti che riescono a essere competitivi anche oltre i 90 anni, come di recente è avvenuto per il parmense Antonio Pipitone, che ai Campionati italiani a squadre, vincendo tre partite su quattro ha consentito al suo circolo, quello di Salsomaggiore, di essere promosso alla serie superiore. Pipitone ha 95 anni suonati, e sulla scacchiera le ha «suonate» ad avversari molto più giovani. Una promessa di vecchiaia attiva che è il sogno di tutti noi.

Cosa fare per iniziare a giocare a scacchi?

Voglio giocare a scacchi, ma non so come iniziare. Coma fare? La prima cosa è contattare il circolo più vicino: esistono sul territorio italiano circa 350 associazioni sportive a scopo scacchistico, affiliate alla Federazione scacchistica italiana (Fsi), che appunto coordina e dirige le attività scacchistiche nel nostro Paese. Per cercare quella più vicina (ne è presente almeno una in quasi ogni capoluogo di provincia), si può consultare il sito e cercare il settore «struttura», dove si trovano tutte le informazioni. Ogni circolo organizza sessioni di gioco libero, quasi sempre corsi, scolastici, per bambini o anche per adulti, spesso tornei interni o anche tornei «ufficiali», a cui si può accedere anche da principianti assoluti, purché si stipuli la tessera agonistica della Fsi.

I tesserati in Italia sono circa 16mila, la metà dei quali under 18, che si tesserano per giocare i tornei scolastici o riservati alle categorie juniores. Dopo un anno di stop quasi assoluto dovuto alla pandemia è ripartito il circuito dei tornei, il cui elenco potete trovare anch’esso sul sito della Federazione. Si calcola che siano centinaia di migliaia i giocatori on line, su varie piattaforme, anche gratuite, e la Fsi ha in programma di organizzare tornei ufficiali anche per loro, su una piattaforma dedicata e sicura, e un tesseramento speciale a prezzo ridotto per chi, appunto, vuole giocare solo via computer e non dal vivo. Inoltre, per essere aggiornati sulle novità sull’attività scacchistica italiana e mondiale, e sugli aspetti sociali e culturali degli scacchi, è utile tenere d’occhio le pagine social della Federazione su Facebook, Instagram e Twitter.

Testo di Anania Casale, addetto stampa della Federazione scacchistica italiana (Fsi)

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