Psicologia

Stress da lavoro: ecco come colpisce mente e corpo e cosa fare

Burnout, ansia, insonnia e malattie croniche: quando il lavoro diventa una fonte di sofferenza, non basta “resistere”. Serve un cambio di cultura nelle aziende 

Lo stress da lavoro correlato è diventato una delle principali emergenze di salute mentale del nostro tempo. Le denunce per disturbi psichici e comportamentali legati al lavoro, secondo i dati Inail, sono cresciute del 17,9% nel primo trimestre del 2024, arrivando a oltre 22.000 casi.

Un segnale chiaro, spiega la dottoressa Anna Sofia Tuccillo, psicologo clinico all’Ospedale San Raffaele di Milano: «Non si tratta solo di un aumento della sofferenza, ma anche di una maggiore consapevolezza. Le persone iniziano a riconoscere che stanno facendo troppo e a chiedere aiuto».

Il problema non è solo individuale, ma organizzativo

«Il punto – sottolinea Tuccillo – è che lo stress sul lavoro non va visto come una debolezza personale del lavoratore. È un problema sistemico, legato all’organizzazione stessa del lavoro».

Molte aziende, infatti, continuano a trattare il benessere psicologico come una questione privata, quando invece dovrebbe essere una responsabilità collettiva e strutturale. L’assenza di un clima lavorativo sano, di confini chiari tra compiti e ruoli e di una leadership capace di ascoltare sono tra i principali fattori che alimentano lo stress cronico.

Burnout: un lavoratore su tre è a rischio

I dati del Censis parlano chiaro: un lavoratore su tre soffre di burnout, quella condizione di esaurimento fisico ed emotivo che un tempo si definiva “nervoso”, ma che oggi rappresenta un vero e proprio disturbo professionale. «Il fatto che questi numeri siano così alti – spiega la psicologa – è preoccupante, ma anche utile: ci mostra che non parliamo di casi isolati, bensì di un fenomeno di massa».

I più giovani sono più fragili

La dottoressa Tuccillo sottolinea anche una differenza generazionale: «Gli over 50 hanno spesso sviluppato strategie di coping, cioè di adattamento, più solide, e reti sociali più stabili. I giovani invece vivono in un mondo del lavoro molto più competitivo, precario e richiedente».

A tutto questo si aggiunge il desiderio, spesso frustrato, di trovare un equilibrio tra vita privata e lavoro. «È un desiderio legittimo – spiega Tuccillo – ma difficile da realizzare, soprattutto da quando lo smart working ha cancellato i confini tra casa e ufficio».

Smart working: vantaggi e rischi

Lo smart working, nato per favorire la flessibilità, si è trasformato in molti casi in una trappola invisibile. «Lavorare da casa – racconta la psicologa – spesso significa non staccare mai del tutto. Non c’è più un confine tra vita personale e lavorativa. Si lavora mentre si mangia o si fa una lavatrice, e questo aumenta la sensazione di continuo affaticamento». In più, si perde la dimensione relazionale: «Il rapporto con i colleghi, se sano, è un fattore protettivo per la salute mentale. Lavorare sempre da soli può favorire isolamento e calo dell’autostima».

I settori più colpiti

Sanità, istruzione e pubblica amministrazione sono i comparti più esposti. «Sono lavori che richiedono un forte coinvolgimento relazionale – spiega Tuccillo – e questo comporta un carico emotivo molto alto». Non a caso, dopo la pandemia, medici, infermieri e insegnanti risultano tra le categorie più colpite da burnout e disagio psicologico.

Le conseguenze dello stress cronico

I danni dello stress lavorativo non si fermano alla mente. «Le conseguenze fisiche sono gravi – precisa Tuccillo –: aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, disturbi gastrointestinali, calo delle difese immunitarie, diabete di tipo 2 e, in generale, di morte prematura».

In Corea del Sud esiste persino un termine per descrivere la morte da eccesso di lavoro, il karoshi. In Italia non si arriva a tanto, ma il rischio di conseguenze fatali legate a stress cronico è reale.

La prevenzione deve partire dall’organizzazione

Come si può intervenire? «Innanzitutto serve un cambio di prospettiva – afferma la psicologa –. Le aziende devono smettere di considerare il benessere psicologico come una spesa e iniziare a vederlo come un investimento». Le strategie efficaci, secondo Tuccillo, sono molteplici: valutazione dei rischi psicosociali attraverso test e colloqui, formazione della leadership sulla gestione dei carichi di lavoro, presenza di psicologi del lavoro e gruppi di supporto, ma anche promozione di una cultura che normalizzi la richiesta d’aiuto.

Un cambio culturale ancora lontano

«In Italia – conclude Tuccillo – il benessere mentale sul lavoro è ancora considerato un lusso, qualcosa da “fighetti”, non una priorità. E finché questa mentalità non cambia, sarà difficile costruire un ambiente di lavoro più umano e sostenibile».

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Francesco Bianco

Giornalista professionista dal 1997, ha lavorato per il sito del Corriere della Sera e di Oggi, ha fatto interviste per Mtv e attualmente conduce un programma di attualità tutte le mattine su Radio LatteMiele, dopo aver trascorso quattro anni nella redazione di Radio 24, la radio del Sole 24 Ore. Nel 2012 ha vinto il premio Cronista dell'Anno dell'Unione Cronisti Italiani per un servizio sulle difficoltà dell'immigrazione. Nel 2017 ha ricevuto il premio Redattore del Gusto per i suoi articoli sull'alimentazione.
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