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Ossa: dalle malformazioni alle fratture all’allungamento degli arti, ecco cosa tratta la tecnica Ilizarov

In che cosa consiste e come funziona il metodo che sfrutta la rigenerazione ossea: «una grande rivoluzione in ortopedia» spiega Maurizio Catagni chirurgo ortopedico di G.B. Mangioni Hospital di Lecco

Il primo italiano a beneficiarne fu Carlo Mauri, celebre alpinista ed esploratore: si ruppe la tibia sinistra che guarì male, lasciandolo con una pseudartrosi infetta e l’arto deforme e più corto di 4 centimetri. Tre interventi non risolsero l’handicap e così Mauri partì zoppicante per la Siberia, dove a Kurgan operava il professor Gavril Abramovich Ilizarov. Tornò sei mesi dopo e la sua gamba era a posto, allungata di quei 4 centimetri mancanti e senza pseudoartrosi. Era il 1979 e fu l’inizio di un’innovazione clinica e scientifica strettamente legata a Lecco, la città di Carlo Mauri. Inizialmente circondato da scetticismo, oggi il metodo Ilizarov è utilizzato in tutto il mondo per trattare deformità ed esiti di traumi, e per ricostruire e allungare gli arti. Tra i protagonisti fin dalla prima ora, il professor Maurizio Catagni, chirurgo ortopedico di G.B. Mangioni Hospital di Lecco, ospedale appartenente a GVM Care & Research.

Qual è stata la grande intuizione di Ilizarov?
L’osso è un tessuto vivo, che, se interrotto e allungato, produce una rigenerazione ossea progressiva. Noi possiamo sfruttare questo meccanismo per avere tessuto osseo dove serve: per allungare un arto come avviene nei casi di acondroplasia (patologia rara che comunemente definiamo nanismo), per correggere le deformità da quelle congenite a quelle post-traumatiche, per modificare la forma delle ossa o ancora intervenire in caso di infezioni e fratture che non guariscono, non raggiungendo la consolidazione. O ancora per ricostruire ossa danneggiate da tumori maligni o benigni. Il fatto di poter sfruttare la «naturale» rigenerazione ossea fu la grande intuizione di Ilizarov.

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Può spiegare in maniera semplice cosa succede con il metodo Ilizarov?
Il metodo prevede all’inizio quello che tecnicamente si definisce interruzione del segmento osseo, che altro non è che una frattura prodotta a bassa energia nel segmento da allungare. A questa segue il distanziamento delle due parti separate dall’incisione. Cosa succede all’osso? Procedendo in questo modo si stimola l’istogenesi, cioè il processo di rigenerazione dei tessuti. Il «comando» dell’organismo è «produci nuove cellule per riparare il tessuto» e distanziando via via le due parti, l’organismo continua a rigenerare l’osso, ottenendo l’allungamento.

Di quanto è il distanziamento ogni giorno? E quanto si possono allungare le ossa? E tendini, muscoli, vasi e quant’altro, si allungano contemporaneamente?
Oggi lo standard è di 0,25 millimetri ripetuto per 3 volte nell’arco di 24 ore. Poi ovviamente dipende dal paziente. Per quanto riguarda l’allungamento, se c’è un problema di deformità, per esempio di una gamba più lunga dell’altra, si allunga quanto necessario. Negli acondroplasici, l’allungamento delle gambe indicativamente è di 14-16 cm, quello dei femori di 10-12 cm, quello degli omeri di 10-12 cm. Si valuta caso per caso tenendo conto anche dell’armonia del corpo e della funzionalità; un allungamento eccessivo potrebbe avere conseguenze anche gravi su caviglia e ginocchio. E per quanto riguarda i tessuti molli, l’allungamento effettuato in questo modo permette a tutti i tessuti di rigenerarsi e adattarsi alla nuova situazione.

Tutto questo si ottiene con questa particolare apparecchiatura studiata da Ilizarov: com’è composta?
Si tratta di un fissatore circolare, cilindrico, una sorta di «gabbia» che viene posizionata intorno alla gamba. E’ composta da una serie di cerchi distanziati da piccole aste a cui sono collegati fili e viti che vengono impiantate nel tessuto osseo durante un intervento chirurgico.

Quali sono i rischi? E le complicanze?
Il fissatore circolare è cambiato molto nell’arco degli anni e oggi abbiamo a disposizione apparecchi che consentono una grande «stabilità»: significa che sono collegati all’osso e lo «tengono sotto controllo» nel processo di rigenerazione, permettendo le correzioni assiali e rotatorie necessarie in modo da evitare problemi come una crescita in «direzione sbagliata». Alcune delle modifiche apportate al fissatore originale, sono state ideate qui a Lecco e oggi in tutto il mondo si chiamano appunto «Lecco».
Per quanto riguarda l’allungamento degli arti negli acondroplasici, nonostante le attenzioni e il progresso dovuto anche alle maggiori conoscenze in questo campo, le complicanze sono frequenti: possono essere lievi (complicanze minori) che si risolvono con manipolazioni del fissatore, raramente complesse tali da richiedere un intervento chirurgico accessorio.

È doloroso? E il paziente acondroplasico come si deve preparare all’intervento?
Il rapporto medico-paziente è fondamentale perché si tratta di procedure lunghe che durano mesi.
L’età in cui si inizia il primo trattamento (allungamento gambe) è circa 10-11 anni. In seguito si interviene con l’allungamento degli omeri (per equilibrare la sproporzione tra arti inferiori e superiori) e, da ultimo, si procede all’allungamento dei femori. Se parliamo di ragazze e ragazzi acondroplasici, le affrontano vicino all’adolescenza, quindi in un periodo della vita di per sé delicato. E sì, è doloroso, anche se molto meno di un tempo perché i fissatori sono stati perfezionati. Bisogna essere motivati e lavorare in team anche con uno psicologo ma soprattutto con la famiglia, per superare le eventuali difficoltà che si presentano. E non si deve avere fretta.

La sua «prima volta» con la tecnica Ilizarov com’è stata?
Era il 6 giugno 1981, Ilizarov era stato invitato in Italia a un congresso dopo la guarigione di Carlo Mauri. Mi sono innamorato subito, e l’impatto è stato: «è una tecnica fantastica!». E’ stata una grande rivoluzione in ortopedia non solo per gli acondroplasici, che oggi sono una minima parte dei pazienti che ne traggono beneficio, ma per tutti quegli esiti post-traumatici che proprio grazie a questa metodica oggi possiamo affrontare e trattare. Non è facile, serve molta, molta esperienza. Che qui a Lecco abbiamo acquisto grazie a una casistica che conta almeno 15.000 procedure.

 

27/08/2015

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