Sessualità

Mobbing, come difendersi

La persecuzione in ufficio può avere conseguenze gravi, dagli attacchi di panico ai disturbi alimentari. Meglio rivolgersi al medico di famiglia

La parola inglese mobbing, entrata ormai da tempo anche nel vocabolario italiano, deriva dal verbo to mob, cioè attaccare, accerchiare. Indica quel comportamento persecutorio che mira a emarginare un collega, a farlo sentire un intruso: secondo una definizione tecnica, è l’esercizio frequente e protratto nel tempo di azioni ostili e non etiche con l’obiettivo di umiliare, minacciare e infine cacciare una persona dal posto di lavoro.

A sentire tanti racconti, si potrebbe pensare che chi lo pratica sia una bestia più che un uomo. Non è un caso che il primo significato di mobbing, letterale, si riferisca al comportamento di alcuni animali che circondano minacciosamente un membro del gruppo per allontanarlo. Per esempio le scimmie. Tra gli umani, il fenomeno è tristemente in crescita. Non si tratta solo di perdere l’ impiego. «Quel che è inevitabile per il mobbizzato è il deterioramento della salute, soprattutto nel lungo periodo», spiega il neuropsichiatra Renato Gilioli, esperto della materia.

Gruppo San Donato

Così ci si ammala per colpa del principale
I medici lo definiscono danno esistenziale, cioè un peggioramento generale delle condizioni di vita, con difficoltà a mantenere i rapporti sociali e lavorativi e, a maggior ragione, a stringerne di nuovi.

Le conseguenze sono di tre tipi: psicopatologiche, psicosomatiche, comportamentali.
«Delle prime fanno parte le alterazioni repentine dell’umore, la depressione, gli attacchi di panico, la difficoltà a prendere sonno e gli incubi ricorrenti», continua Gilioli. «Tra le seconde si annoverano dolori di stomaco, dermatiti, mal di testa e nevralgie e addirittura il riacutizzarsi di asme sopite da anni. Infine, i disturbi del comportamento: i più frequenti sono l’isolamento sociale, l’aumento nel consumo di alcol, farmaci e tabacco, l’aggressività verso gli altri e verso se stessi, il disordine alimentare (bulimia o anoressia) e i disturbi della sfera sessuale (disfunzione erettile negli uomini e mancanza di desiderio nelle donne)».

In linea di massima, sono le tipiche malattie da stress. Ma, in base alla casistica, la tensione indotta da abusi sul posto di lavoro appare molto più patogena del logorio che deriva dai problemi in altre sfere: in pratica, un mobbizzato ha molte più probabilità di sviluppare un disturbo, psichico o fisico, rispetto a una persona sottoposta a stress comune.

Dai 35 ai 44 anni la fascia a rischio
Quando si può parlare di mobbing? Non bastano pochi episodi isolati. Difficile quantificare con precisione il lasso di tempo necessario, ma diciamo con la scuola svedese, la più autorevole in questo campo, che sei mesi sono la durata minima degli abusi perché si configuri. Quando più individui si coalizzano per isolare un collega d’ufficio che ha il loro stesso ruolo, il mobbing si definisce orizzontale. Se le vessazioni vengono da un superiore, è invece verticale.

Ma si può pure verificare, anche se è molto meno frequente, un’aggressione dal basso verso l’alto: i sottoposti si alleano contro qualcuno che sta più su nella scala gerarchica. In questa condizione possono trovarsi sia gli uomini sia le donne, e anzi queste ultime sono forse più soggette ad abusi di quanto non lo siano i colleghi maschi.

In generale, le fasce di età più rappresentate sono quella che va dai 35 ai 44 anni e, in seconda battuta, dai 45 ai 54. Questi dati portano a considerazioni importanti. La prima è che i lavoratori molto giovani, sotto i 35 anni, sono meno soggetti al mobbing perché, godendo sempre meno spesso di un posto fisso, hanno più possibilità di cambiare lavoro o di esserne allontanati qualora avessero problemi con i superiori o con i colleghi. Interessante notare come negli Stati Uniti, e in generale nei Paesi caratterizzati da un’alta mobilità del mercato del lavoro, il mobbing abbia incidenza minore.

Un’altra considerazione è che la probabilità di subire mobbing cresce proporzionalmente al proprio rango, cosa che per quanto possa sembrare strana, è ampiamente confermata dalla casistica: addirittura, agli albori della disciplina che studia il fenomeno, questo era considerato come proprio dei dirigenti e dei quadri.

Questo si spiega analizzando le nuove dinamiche del lavoro manageriale, che portano spesso la competizione alle estreme conseguenze facendo sì che al successo di un individuo debba corrispondere l’insuccesso di un altro.

Come ci si difende dai colleghi tiranni
Il primo passo per difendersi è la consapevolezza. Molto spesso, infatti, per motivi che vanno ricercati nella cultura, nella formazione, nel carattere, le persone fanno fatica ad accettare il fatto di essere mobbizzate. Altre volte sono i colleghi, per interesse o per superficialità, a minimizzare il problema, dando il via a una serie di negazioni che finiscono per accentuare il malessere e il senso di inadeguatezza della vittima.

Una volta inquadrato il problema, è bene non lasciarsi andare nell’autocommiserazione. Si deve, al contrario, mantenersi attivi anche nella sfera sociale, cercando il supporto di amici e familiari senza però scaricare su di loro i propri problemi.

È fondamentale non compiere, sull’onda emotiva, passi azzardati come rassegnare le dimissioni né tantomeno andare a uno scontro frontale senza prospettive. «Un’ideale scaletta di azioni potrebbe prevedere al primo posto il contatto con il medico competente all’interno dell’azienda», dice Gilioli. «Ai sensi della legge 626/94 ogni azienda deve avere un responsabile sanitario, che però, essendo un dipendente, può trovarsi con le mani legate e avrà non poche difficoltà a schierarsi contro il datore di lavoro. Ecco perché è meglio rivolgersi al medico di famiglia, il quale a sua volta potrà indirizzare il lavoratore a centri specializzati, dove il mobbizzato sarà sottoposto a trattamenti che vanno da quelli psicoterapeutici a quelli farmacologici (a base di antidepressivi serotoninergici e ansiolitici benzodiazepinici): entrambi vengono passati dall’Asl».

Se pensiamo che due caratteristiche fondanti del mobbing sono ripetitività e frequenza, risulta chiaro che qualsiasi cura non possa ridare la salute se il fenomeno persiste. È innegabile però che l’operato di medici e psicoterapeuti specializzati apporti nella maggioranza dei casi un miglioramento nella vita del paziente, fermo restando che l’unica soluzione per il completo recupero è la cessazione degli abusi. Alla quale si può giungere anche tramite le vie legali.

Massimo Valz Gris – OK La salute prima di tutto

Ultimo aggiornamento: 20 giugno 2011

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