Salute

In estate, calcoli renali in agguato: ecco come intervenire

Il rialzo delle temperature rischia di favorire la disidratazione e l’aumento della concentrazione di sali nelle urine, creando le condizioni ideali per la formazione dei sassolini

La prossima volta che vi rotolerete nel letto trafitti da dolori lancinanti ai reni, fidatevi, penserete a lei: Greta Thunberg. Perché quei malefici sassolini intenzionati a ostruire le vostre vie urinarie sono anche il frutto del riscaldamento globale: per questo i casi di calcolosi sono destinati ad aumentare nei prossimi decenni, nonostante tutti gli sforzi che potremo fare per limitare le emissioni di gas serra.

Lo dimostra uno studio pubblicato su Scientific Reports dal Children’s Hospital di Philadelphia. I ricercatori hanno preso a modello il South Carolina (uno degli Stati americani più colpiti da calcolosi) e hanno messo in relazione il numero di pazienti colpiti con le temperature medie giornaliere registrate tra il 1997 e il 2014: proiettando questa tendenza al 2089, hanno visto che l’incidenza del disturbo è destinata a crescere del 2,2% nel caso in cui riuscissimo a ridurre le emissioni, mentre potrebbe salire anche del 4% se continuassimo a inquinare senza freni. Com’è possibile? L’innalzamento delle temperature e le ondate di caldo anomalo sempre più frequenti rischiano di favorire la disidratazione e l’aumento della concentrazione delle urine, creando le condizioni ideali per la formazioni di concrezioni nelle vie urinarie.

Gruppo San Donato

L’identikit del paziente: maschio fra i 30 e i 50 anni

A preoccuparsi di più dovrebbero essere gli uomini, dato che «la calcolosi interessa il 10% della popolazione maschile contro il 5-7% della popolazione femminile», ricorda Guido Giusti, endourologo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Questo disturbo colpisce soprattutto tra i 30 e i 50 anni, nel pieno dell’età lavorativa, e per questo ha elevati costi socio-economici. In Italia si contano quasi 100mila nuovi casi ogni anno, con un impatto sulle strutture ospedaliere ancora più importante se consideriamo che il 30-50% dei pazienti va incontro a recidiva entro cinque anni».

Calcoli renali: piatti e snack troppo ricchi di sale e proteine creano la “tempesta perfetta”

A peggiorare le cose ci pensano poi il Dna (esiste infatti una predisposizione familiare ai calcoli) e le cattive abitudini a tavola: ormai annoiati dalla sana dieta mediterranea, anche noi italiani ci lasciamo ingolosire sempre più spesso da piatti e snack troppo ricchi di sale e proteine, due elementi che possono creare la «tempesta perfetta» nei reni, soprattutto se non riusciamo a bere i canonici due litri di acqua al giorno. Per formare i calcoli comunque ci vogliono mesi, se non addirittura anni: per questo in genere i più giovani non hanno particolari problemi (con l’eccezione di quelli affetti da rare malattie metaboliche o gravi infezioni urinarie).

Nell’età adulta, invece, diventa più probabile che si formino delle concrezioni, che possono essere finissime come sabbia (la cosiddetta renella) o grandi diversi millimetri fino addirittura a cinque-sette centimetri riproducendo a stampo le cavità renali che ne vengono deformate. I calcoli sono generalmente costituiti da cristalli di ossalato o fosfato di calcio, ma nel 15% circa dei casi sono fatti di acido urico: questi ultimi si formano soprattutto negli anziani che soffrono di sindrome metabolica (un mix di sovrappeso, ipertensione, glicemia alta, colesterolo e trigliceridi sballati). Negli uomini avanti con l’età, «anche la prostata ingrossata può rappresentare un fattore di rischio non trascurabile: impedendo il completo svuotamento della vescica, può determinare un ristagno cronico di urina che favorisce la formazione di calcoli vescicali», spiega l’urologo.

Quando correre al pronto soccorso

Ovunque si trovino, i «sassolini» si fanno sentire non appena iniziano a spostarsi. Se quelli in vescica possono provocare bruciore e sanguinamento quando si fa pipì, quelli che si formano nelle più alte vie urinarie (cioè nei reni o nel canale che li collega alla vescica, l’uretere) possono causare un dolore acuto e crampiforme che non dà pace, a volte accompagnato da vomito e, nei casi più gravi, perfino da febbre.

«Il rialzo della temperatura è un segnale temibile che indica la presenza di un’infezione dovuta al mancato deflusso delle urine: quando si manifesta bisogna correre al pronto soccorso per intervenire d’urgenza con l’inserimento di uno stent, ovvero un tubicino tra rene e vescica che permette di drenare l’urina infetta», afferma Giusti. «In un secondo momento, quando l’infezione è risolta, si procede alla rimozione del calcolo e quindi dello stent: la procedura andrebbe fatta nel giro di uno-due mesi, perché sebbene lo stent abbia una durata di sei mesi, col passare del tempo può favorire la formazione di incrostazioni. Inoltre può provocare disagio al paziente, causando una minzione imperiosa e frequente».

Non assumere farmaci antispastici

Per fortuna i casi di calcolosi grave sono una minoranza: la maggior parte, pur essendo molto dolorosa, tende a risolversi spontaneamente. Questo però non deve indurre a sottovalutare il problema, né tanto meno a ricorrere al fai-da-te. «L’errore più comune da evitare è quello di assumere gli antispastici: questi farmaci riducono il dolore perché inibiscono la contrazione dell’uretere, ma in questo modo impediscono di fatto l’espulsione del calcolo per le vie naturali. Perciò è molto più indicato l’uso degli antinfiammatori non steroidei, che riducono la percezione del dolore senza impedire al rene di fare il suo lavoro», sottolinea l’esperto.

Dopo aver controllato la colica nella sua fase più acuta, non resta che rivolgersi al medico per valutare gli esami da fare: generalmente basta un’ecografia per capire se c’è un sassolino in agguato; la radiografia non è sempre utile perché non permette di vedere i calcoli di acido urico, mentre la Tac serve solo nei casi più gravi destinati alla sala operatoria, per studiare nel dettaglio l’anatomia delle vie urinarie e valutare la composizione del calcolo sulla base della sua densità.

Tutti i modi per intervenire

Il trattamento varia a seconda del materiale di cui sono fatti i calcoli.

Integratore a base di citrato di potassio e magnesio

Quelli di acido urico «possono essere sciolti nell’arco di due-tre mesi semplicemente alcalinizzando le urine con un integratore a base di citrato di potassio e magnesio: la terapia richiede però molta pazienza e collaborazione da parte del paziente, perché bisogna misurare il pH delle urine tre volte al giorno con una cartina tornasole», osserva lo specialista.

Litotrissia extracorporea (ESWL)

Per i calcoli più comuni, quelli di ossalato di calcio, è invece tutta una questione di dimensioni. Solo quelli al di sotto dei cinque millimetri possono essere espulsi naturalmente, mentre per tutti gli altri bisogna intervenire. Se il calcolo è al di sotto di un centimetro viene spesso proposta la litotrissia extracorporea (ESWL), meglio conosciuta come «bombardamento» con onde d’urto. Questa tecnica viene fatta in day hospital, non necessita di anestesia e non comporta di per sé alcuna manovra invasiva, ma presenta alcuni svantaggi.

Innanzitutto, spiega Giusti, «non riesce sempre a frantumare il calcolo al primo tentativo e ripetere il bombardamento più di un paio di volte può risultare dannoso per la quantità di energia che viene liberata sul rene e gli organi circostanti. In secondo luogo, quando si riesce a rompere il calcolo, i frammenti devono essere espulsi dal paziente per le vie naturali col rischio di provocare comunque un’ostruzione urinaria e nuove coliche. Infine, la tecnica non è efficace nei pazienti obesi, perché l’energia delle onde si disperde quando il calcolo si trova a una distanza di oltre dieci centimetri dalla cute».

Litotrissia per via ureterorenoscopica flessibile (RIRS)

Questi problemi possono essere superati con una tecnica innovativa sempre più diffusa, quella della litotrissia per via ureterorenoscopica flessibile (RIRS). L’intervento mininvasivo, che prevede un paio di giorni di ricovero, consiste nell’introdurre una sonda endoscopica flessibile in vescica per poi risalire a ritroso fino al calcolo: per frantumarlo si usa un laser e i frammenti vengono poi estratti con un apposito strumento detto a cestello. «Oltre al tradizionale laser a olmio, oggi abbiamo a disposizione anche il nuovo laser tullio in fibra, che permette di polverizzare letteralmente il calcolo, per avere un’espulsione indolore dei fini residui», aggiunge l’esperto.

«Al San Raffaele siamo stati i primi in Italia a utilizzarlo: finora abbiamo trattato circa 200 pazienti, ottenendo una percentuale di pazienti “stone free” (cioè liberi da calcoli) superiore del 17% rispetto al vecchio laser a olmio. L’unico limite riguarda i calcoli di dimensioni superiori a 1,5 centimetri: in questo caso la frantumazione al laser non è indicata perché rischierebbe di produrre una quantità troppo elevata di frammenti».

Litotrissia percutanea (PCNL)

Quando non si può ricorrere alla tecnica endoscopica c’è ancora un’altra possibilità, quella della litotrissia percutanea (PCNL), il trattamento di prima scelta per i calcoli più grossi. «L’intervento, che richiede tre-quattro giorni di ricovero, prevede una piccola incisione nel fianco, del diametro di una matita, che consente di accedere al rene per frantumare il calcolo con il laser e asportarne i frammenti con le pinze», spiega Giusti.

Nei casi più difficili, ad esempio quelli in cui il calcolo è così grosso da riempire più distretti (detti calici) renali e da non poter essere rimosso attraverso un unico accesso, «è possibile combinare la PCNL con la RIRS per pulire completamente il rene, intervento noto con l’acronimo internazionale di ECIRS. A volte», continua l’urologo, «mi capita di vedere pazienti a cui è stata proposta la chirurgia a cielo aperto o la chirurgia robotica, ma queste opzioni in realtà non sono indicate per la calcolosi, tranne in rari casi particolarmente complicati in cui bisogna asportare anche parte del rene».

Analisi post intervento per la profilassi

Un altro errore che viene commesso spesso è quello di non analizzare in laboratorio il calcolo dopo la sua estrazione. «In Italia l’80% degli urologi non eseguono questo esame che è invece fondamentale: solo conoscendo la reale composizione chimica del calcolo possiamo impostare una corretta profilassi per prevenire recidive, con consigli dietetici e integratori che inibiscono o quanto meno rallentano la formazione del calcolo», conclude Giusti. «Se col passare del tempo non emergono particolari problemi è sufficiente fare i controlli di routine una volta all’anno, con ecografia, esame delle urine e visita dall’urologo: in questo modo è possibile scoprire precocemente le eventuali recidive quando il calcolo è ancora piccolo e più facile da trattare».

Coliche spaziali

Anche gli astronauti soffrono di calcoli renali: tutta colpa delle condizioni di vita in orbita, in particolare della scarsa idratazione e della demineralizzazione delle ossa (favorita dalla microgravità e dalla ridotta attività fisica). Finora sono più di una trentina i casi di calcolosi che si sono verificati nei viaggiatori del cosmo rientrati sulla Terra, ma il vero pericolo è che la colica si possa manifestare durante la missione, dove le possibilità di intervento medico sono molto limitate.

Per questo la Nasa sta collaborando con l’Università di Washington per la messa a punto di una nuova tecnica di litotrissia extracorporea che sfrutta brevi impulsi di ultrasuoni: nei primi test clinici condotti su una ventina di pazienti è riuscita a frantumare i calcoli in dieci minuti senza bisogno di anestesia. Questa innovazione, ideata per trattare la calcolosi direttamente sulla Stazione spaziale, potrebbe tornare utile anche sulla Terra: permetterebbe infatti di distruggere il calcolo senza anestesia subito alla prima visita, al Pronto Soccorso o in ambulatorio, riducendo tempi, costi e dolori.

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