
La chirurgia robotica rappresenta oggi una delle più avanzate frontiere della medicina, grazie alla sua capacità di combinare precisione, minima invasività e tempi di recupero più rapidi. In Italia, il suo utilizzo è in costante crescita, con il nostro Paese tra i leader europei per numero di interventi eseguiti con il sistema robotico Da Vinci.
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Dall’inizio alla rivoluzione del Da Vinci
Il primo robot in sala operatoria fu Arthrobot nel 1983, seguito da Puma 200 nel 1985 per la neurochirurgia, Probot per la chirurgia prostatica e Robodoc per la chirurgia ortopedica. Ma la svolta vera e propria arriva nel 1998 (1999 in Italia) con l’introduzione del sistema Da Vinci, oggi alla sua quarta generazione e piattaforma più diffusa al mondo nella chirurgia mininvasiva.
«Con l’avvento del robot si modifica il rapporto carnale chirurgo-paziente», spiega Luca Aldrighetti, primario di Chirurgia epatobiliare all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore all’Università Vita-Salute San Raffaele. «Il robot ottimizza la gestualità del chirurgo e ne amplifica l’efficacia, democratizzando i gesti chirurgici e rendendoli più accessibili».
Secondo le stime di mercato, la chirurgia robotica ha generato 4 miliardi di dollari nel 2023 e potrebbe raggiungere i 7,5 miliardi entro il 2030.
Chirurgia robotica in Italia: numeri in crescita
L’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di interventi robotici. Solo il sistema Da Vinci conta 200 unità attive in 168 strutture sanitarie, con oltre 300.000 pazienti operati. Oggi, molti dei principali ospedali italiani sono dotati di almeno un sistema di chirurgia robotica.
Cos’è la chirurgia robotica e come funziona
La chirurgia robotica è una evoluzione della laparoscopia, ovvero la chirurgia mininvasiva che si effettua tramite piccole incisioni. I robot utilizzano strumenti miniaturizzati e una telecamera ad alta definizione che trasmette le immagini su uno schermo. Il chirurgo, seduto a una console, guida i bracci robotici tramite joystick e pedali, osservando il campo operatorio attraverso un visore 3D.
«Durante l’intervento», spiega ancora Aldrighetti, «il chirurgo vede immagini ingrandite del corpo del paziente, e manipola i controlli che guidano il robot nel compiere l’operazione».
I principali vantaggi della chirurgia robotica
Sono molteplici i vantaggi dell’utilizzo dei robot in sala operatoria. Questi sono i più importanti
1. Minima invasività e maggiore precisione
La chirurgia robotica riduce l’impatto sui tessuti e aumenta la precisione del gesto chirurgico. «I bracci robotici eliminano i tremori delle mani e offrono una gamma di movimenti superiore a quella della mano umana», precisa Aldrighetti. «Il campo visivo è ingrandito fino a 10 volte e la visione tridimensionale migliora l’identificazione delle strutture anatomiche».
2. Recupero più veloce e minori complicanze
«Grazie alla minore invasività, il sistema robotico riduce infiammazioni, perdite di sangue e necessità di trasfusioni», aggiunge Francesco Montorsi, primario di Urologia al San Raffaele. «I tempi di ospedalizzazione sono più brevi e si abbassano dolore post-operatorio e rischio di complicanze».
3. Formazione specifica e nuove tecnologie
Recentemente è stato introdotto un nuovo robot chirurgico con un solo braccio meccanico e accesso singolo, che aumenta la precisione e riduce ulteriormente l’invasività. Anche in questo caso è previsto un percorso di formazione dedicato per il chirurgo.
Le principali applicazioni della chirurgia robotica
Sono ormai diversi i settori della medicina in cui si utilizzano. Ecco i principali
Chirurgia urologica
È uno dei settori di punta. «La chirurgia robotica è oggi la tecnica di riferimento per l’asportazione del tumore alla prostata», afferma Montorsi. «Preserva le strutture deputate alla continenza urinaria e alla funzione sessuale». Viene usata anche per:
- tumori benigni e maligni della prostata,
- neoplasie della vescica con ricostruzione,
- tumori del rene con asportazione parziale.
Chirurgia addominale e del pavimento pelvico
«I bracci robotici consentono di raggiungere zone difficili come il retto basso o il pavimento pelvico», sottolinea Pierpaolo Sileri, primario di Chirurgia colorettale al San Raffaele. L’approccio robotico è indicato anche per:
- tumori gastrointestinali,
- malattie infiammatorie croniche intestinali (Crohn, rettocolite ulcerosa),
- prolasso uterino.
Chirurgia toracica, cardiaca e ORL
Oggi la chirurgia robotica è usata anche per:
- tumori del polmone e del timo,
- interventi di cardiochirurgia (valvole cardiache, coronarie),
- otorinolaringoiatria (apnee ostruttive del sonno, corde vocali).
Chirurgia ortopedica
Negli ultimi anni, anche l’ortopedia ha adottato i robot per le protesi di anca e ginocchio. «Il sistema consente tagli ossei più precisi e un miglior posizionamento dell’impianto», evidenzia Francesco Verde, primario di Chirurgia protesica mininvasiva e robotica al San Raffaele.
Nel caso di chirurgia dell’anca, si utilizza un sistema con antenne e sensori collegati all’osso, mentre le versioni più avanzate creano un modello 3D dell’articolazione tramite TAC pre-operatoria, migliorando la pianificazione e l’esecuzione.
Quando la chirurgia robotica è sconsigliata
Non tutti i pazienti sono candidati ideali. In presenza di osteoporosi o obesità importante, la chirurgia robotica può risultare più complessa, a causa della difficoltà nel posizionamento delle antenne o nella visibilità dei tessuti.
Esistono svantaggi?
Sì, sebbene i benefici siano significativi, la chirurgia robotica presenta anche alcuni svantaggi:
- Alti costi per l’acquisto e la manutenzione dei sistemi robotici;
- Tempi operatori leggermente più lunghi nelle prime fasi di apprendimento;
- Necessità di formazione avanzata per il chirurgo;
- Non sempre è indicata per tutti i tipi di intervento.
Conclusioni
La chirurgia robotica rappresenta oggi una delle tecnologie più promettenti per il futuro della medicina, con vantaggi in termini di precisione, recupero e minore invasività. In Italia il suo utilizzo è ormai consolidato in molte discipline, dall’urologia all’ortopedia, dalla chirurgia addominale a quella toracica. Sebbene non manchino limiti, l’evoluzione continua di questi sistemi e la formazione degli specialisti aprono prospettive sempre più interessanti per i pazienti.
Testo di Silvia Finazzi