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Silvia Marchesan: «I peptidi sconfiggeranno l’Alzheimer e i batteri»

Considerata dalla rivista Nature una delle stelle emergenti della scienza, la ricercatrice Silvia Marchesan studia le componenti proteiche per dare vita a terapie innovative contro le malattie neurodegenerative e ad antibiotici più efficaci

Nel 2018 la rivista scientifica Nature inserisce Silvia Marchesan, a soli 40 anni, tra le 11 rising stars internazionali delle scienze naturali. Il riconoscimento arriva per la scoperta di mini-molecole che si autoassemblano formando strutture utili alla riparazione dei tessuti del corpo e alla somministrazione di medicinali. Al sesto posto, la chimica organica è in ottima compagnia: fisici, neuroscienziati, geologi, persino un altro italiano, l’ecologista Giorgio Vacchiano. L’articolo del 2018 si intitolava «Tutto il mondo ai loro piedi», eppure quattro anni dopo Silvia si sente ancora un’emergente che fatica a emergere. Con un dottorato a Edimburgo e parecchi anni di ricerca a Londra, in Finlandia e in Australia sulle spalle, il mondo non solo non è ai suoi piedi, ma quello italiano, in particolare, sembra essersi dimenticato di lei.

«Gli unici fondi che sono riuscita a ottenere risalgono al 2015, quando sono tornata come ricercatrice all’Università di Trieste», racconta. «Grazie a quei soldi ho potuto fondare il mio laboratorio e portare avanti il progetto che mi ha portato al riconoscimento di Nature». Dopodiché, il nulla. «È paradossale, perché c’è del potenziale in quello che ho scoperto, ma da quattro anni non riesco a fare passi avanti. Solo di recente ho ricevuto da un’associazione inglese circa 4.000 euro. Però con questa cifra posso pagare solo piccole spese giornaliere». Di certo non può assumere collaboratori, comprare strumenti di laboratorio o finanziare studi, quelli che le servirebbero per dimostrare che le sue molecole (dei peptidi, cioè piccole componenti della proteine) potrebbero aiutare nella cura di malattie, in particolare quelle neurodegenerative.

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Peptidi e proteine si studiano da tempo. Che cos’hanno di innovativo quelli che ha scoperto lei? La rivista Nature scrive che il suo approccio è più raffinato ed economico.

«È vero, negli ultimi decenni abbiamo assistito a una rinascita dell’utilizzo di peptidi e proteine come farmaci per terapie innovative. Tuttavia, sono stati riscontrati dei problemi: da una parte le reazioni del sistema immunitario, dall’altra la capacità dell’organismo di digerire e disattivare queste molecole. Dato che l’organismo stesso è fatto di proteine, le sa riconoscere molto bene. Inoltre, c’è anche un tema di costi, perché le proteine sono molecole complesse da realizzare. Per utilizzare una metafora, la proteina è una lunga collana di perline ripiegata più volte su se stessa. Io e il mio team, invece, abbiamo scoperto che in tanti casi è sufficiente utilizzare solo una manciata di perline, cioè peptidi, e non l’intera collana. E più la collana è corta, meno costa farla. Il numero ideale di perline è tre, cioè un tripeptide: sia per comunicare con le altre cellule e unirsi a loro nell’ottica di medicina rigenerativa, sia per creare un farmaco a basso costo e ben tollerato dall’organismo. Tuttavia, c’è un altro motivo per cui Nature mi ha premiata».

E cioè?

«Il principio della chiralità. Che agli studenti cerco di spiegare citando Alice nel Paese delle Meraviglie».

Curioso: lo spieghi anche a OK.

«Quando Alice attraversa lo specchio entra in un mondo sottosopra. C’è una famosa illustrazione in un’edizione del romanzo di Lewis Caroll in cui si vede bene l’immagine del mondo normale contrapposta a quella del mondo fantastico allo specchio. Nel secondo, le lancette dell’orologio si animano diventando una bocca sorridente, allo stesso modo inizia a sorridere anche il vaso di fiori. È un mondo simile a quello che conosciamo, ma diverso, imprevedibile. I peptidi che abbiamo sviluppato hanno una o due perline che sono l’immagine allo specchio rispetto ai peptidi normali. Simili, ma con un comportamento differente».

Sta dicendo che i suoi peptidi appartengono a un altro mondo?

«Non proprio, ma quasi. In chimica questi due mondi si possono indicare con sinistra e destra. Le proteine e i peptidi con struttura di sinistra sono quelli normali, quelli con struttura di destra vi assomigliano, ma possono scatenare effetti diversi. Facciamo un esempio: la struttura naturale-normale dell’asparagina (contenuta negli asparagi) è sinistra e scatena uno specifico sapore quando si lega ai recettori del gusto. La sua versione del Paese delle Meraviglie, invece, sarebbe dolce perché verrebbe letta in modo diverso dai recettori. Dato che in natura le proteine sono quasi completamente strutturate a sinistra, la nostra scommessa è stata quella di provare a fare composizioni sottosopra, con perline anche di destra, e osservare le conseguenze. È un po’ come trapiantare un dito della mano destra sulla sinistra per vedere che tipo di mano nasce e come si comporta».

E come si comporta?

«Dita ancora non ne abbiamo tagliate ma, a parte gli scherzi, abbiamo condotto esperimenti su colture cellulari e abbiamo visto che le cose cambiano, eccome. Si è osservato che i tripeptidi con “perline” destre invece che sinistre riescono a organizzarsi nello spazio in modo diverso. Riescono a incastrarsi in una sorta di puzzle molto ordinato, in un gel simile ai tessuti naturali che strutturano il nostro organismo, con il vantaggio che, avendo perline di destra, il nostro corpo fa più fatica a smascherarle e a disattivarle, come invece accade con peptidi e proteine più riconoscibili».

Dalla teoria (difficile) alla pratica. Come ci aiuteranno questi peptidi?

«Dato che hanno la capacità di organizzarsi in autonomia e di formare strutture simili a quelle che compongono alcune parti del nostro organismo ci possono aiutare soprattutto nell’ottica della medicina rigenerativa. In particolare, “imitano” benissimo i tessuti morbidi e più delicati, come quello nervoso. Per questo, pensiamo che potrebbero aiutarci a trattare una serie di problemi legati al cervello riparando il tessuto danneggiato. Ad esempio, se c’è stato un trauma o si è colpiti da una malattia neurodegenerativa».

A febbraio 2021 ha condotto uno studio sull’impiego di questi peptidi nella malattia di Alzheimer. Cosa ha scoperto?

«L’Alzheimer è caratterizzato da una degenerazione dei neuroni del cervello che hanno un accumulo di un peptide, chiamato beta-amiloide, che va a formare strutture dette fibrille. Chi studia terapie contro l’Alzheimer, infatti, si concentra contro questo accumulo. Nei nostri esperimenti abbiamo trovato una composizione di peptidi che è in grado di inibire parzialmente la capacità del beta-amiloide di formare le fibrille che si trovano nei neuroni danneggiati. Inoltre, negli esperimenti in vitro – su colture cellulari – i nostri peptidi hanno dimostrato un’ottima biocompatibilità anche ad alte concentrazioni, quindi non abbiamo rilevato segni evidenti di tossicità. Siamo ancora distanti dalla pratica clinica e dalla possibilità di trattare i pazienti, ma quello delle patologie neurodegenerative è uno dei possibili campi in cui potremmo utilizzare questi peptidi».

Un altro impiego potrebbe essere la somministrazione prolungata di farmaci, in particolare antibiotici. Ci spiega meglio?

«Sappiamo che l’assunzione di antibiotici sta diventando un problema mondiale a causa dello sviluppo di resistenze. Assumiamo antimicrobici, ma ormai i batteri sanno difendersi. In questo quadro, ci serve un’alternativa. Prescriverne meno e utilizzarli solo quando servono, chiaramente, ma anche altri medicinali. L’interesse ai peptidi e alle proteine nella formulazione di farmaci si è aperto anche per evitare resistenze. Una delle mie idee è un tripeptide antimicrobico che si attiva solo quando necessario contro il batterio e poi si biodegrada e viene eliminato facilmente dall’organismo. Abbiamo visto che può funzionare contro alcuni batteri, ma, anche in questo caso, servono altri fondi per lo sviluppo clinico».

È fiduciosa verso il futuro e le sue ricerche?

«Rimango ahimè un po’ scettica, ma se aumentano i finanziamenti alla ricerca sarò sicuramente più positiva! Ci piacerebbe trovare anche collaboratori medici con cui sviluppare soluzioni mirate e concrete, per dare un futuro migliore ai pazienti che non hanno ancora la terapia giusta».

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Giulia Masoero Regis

Giornalista pubblicista, collabora con OK Salute e Benessere, sito e giornale, e altre testate di divulgazione scientifica. Laureata in Scienze Politiche, Economiche e Sociali all'Università degli Studi di Milano, nel 2017 ha vinto il Premio Giornalistico SID – Società Italiana di Diabetologia “Il diabete sui media”; nel 2018 il Premio DivulgScience nel corso della XII edizione di NutriMI – Forum di Nutrizione Pratica e nel 2021 il Premio giornalistico Lattendibile, di Assolatte, nella Categoria "Salute". Dal 2023 fa parte del comitato scientifico dell’associazione Telefono Amico Italia.
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