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Monica Guerritore: «Seduco perché porto con fierezza i segni del tempo»

L'attrice è al cinema con Anna, un film intimo e ambizioso dove interpreta l'indimenticata Magnani. E sono tanti i parallelismi tra l'una e l'altra

«La vita genera vita: il lavoro mi ha sempre salvata». Inizia così il nostro incontro con Monica Guerritore, ormai pronta a regalare al pubblico il film Anna, dove interpreta la Magnani, pellicola che ha voluto, diretto, scritto e interpretato. Un progetto ambizioso e intimo, che racconta la parte segreta e più fragile dell’attrice delle attrici, quella che resta fuori dalle cronache e dai set, e che riaffiora dopo la vittoria dell’Oscar nel 1956. Una Magnani che trasforma i dolori privati in materia viva per l’arte. Le immagini del film mostrano Monica che sembra Anna, anche se avverte che «la Magnani non sopportava la finzione. L’unico tradimento sarebbe recitarla fingendo».

Il film su Anna Magnani

Il progetto su Anna Magnani è più che ambizioso. Non le sembra quasi una follia?

«Sì, lo è. Ma è una follia necessaria. La Magnani aveva un linguaggio unico, anche inespresso. Io ho cercato di raccontare quello che lei ha sempre protetto. Il pubblico conosce la corsa in Roma città aperta (capolavoro assoluto del cinema di Roberto Rossellini, ndr), ma pochi sanno che qualche giorno prima lei correva davvero all’ospedale per il figlio che stava male. Sono questi incroci tra vita e carriera che ho voluto restituire. Io mi considero un tramite: con il mio mestiere di interprete cerco di sostenere quel dolore, quella forza, senza finzione. Ho cercato di non ridurre la sua esperienza al mio vissuto, ma di lasciarmi attraversare».

Proprio come Magnani, anche Guerritore ha avuto un tumore

Sono molti i punti di contatto tra voi due. Come Anna Magnani, anche lei ha avuto l’esperienza di un tumore, nel suo caso al seno, una storia che ha raccontato pubblicamente. Come ha vissuto quel momento?

«Ho reagito con la stessa energia che metto nel lavoro. Non ho mai voluto pensarmi come una malata, ma come una donna che affrontava una prova. Il tumore non mi ha tolto forza, me ne ha data di nuova: quella di guardarmi dentro, di non sprecare tempo, di amare di più. Nei giorni in cui mi è arrivata la diagnosi, era il 2006, avevo 48 anni, stavo cercando di arredare la mia nuova casa. Giravo per le stanze e mi chiedevo se sarei riuscita a viverla. Ma passava subito. È stato un momento doloroso, certo, ma anche un’occasione per comprendere che la vita genera vita, sempre».

Che ruolo ha avuto il lavoro in quel periodo?

«Un ruolo fondamentale. Il palcoscenico è sempre stato il luogo dove trasformare il dolore in qualcosa di vitale. La malattia non l’ho mai nascosta, ma non ho voluto che mi definisse. Ho continuato a recitare, a portare avanti i miei progetti. È il mestiere stesso dell’attore: prendere il vissuto e restituirlo come esperienza universale. Anche quella malattia è diventata parte della mia interpretazione, della mia capacità di commuovermi e commuovere. Lo stesso è successo alla Magnani: con il tumore ha scelto di continuare a lavorare. Recitare per me non è solo una passione: è responsabilità verso una compagnia e il pubblico. Se un attore si ferma, vanno a casa venti o trenta persone. Non potevo permetterlo. E di nuovo, quando nel 2011 ho dovuto affrontare un intervento al polmone che poteva essere pericoloso, ma che per fortuna si è rivelato essere niente di grave, ho continuato a lavorare. E ancora nel dicembre 2023, quando ho avuto una cisti ovarica che poteva essere un tumore: mi hanno asportato tutto, ma dopo dieci giorni ero in scena con Ginger e Fred, con il busto addosso».

Niente chirurgia e medicina estetica

Come la Magnani, anche lei ha scelto di non ricorrere alla chirurgia o alla medicina estetica. Celebre la frase che disse rivolgendosi a un truccatore: «Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Le ho pagate tutte care. C’ho messo una vita a farmele!».

«Anche io considero le rughe le mie cicatrici di battaglia, non come qualcosa da cancellare. La Magnani ha sedotto con la verità del suo volto, con la potenza di uno sguardo che non aveva bisogno di filtri. Io credo che la seduzione stia proprio lì: nell’autenticità, nel portare con fierezza i segni del tempo. È un’eredità che sento mia. È chiaro che essendo una donna, e per di più un’attrice, mi piace e devo sedurre in qualche modo».

Che cos’è per lei la seduzione?

«Sedurre significa portare a sé. Lavorare spesso a teatro mi ha permesso di non concentrarmi sull’aspetto esteriore, ma su atteggiamenti che possono essere anche seduttivi. Nella vita poi ho imparato che sono quelli che colpiscono di più gli uomini: loro non sono attratti da uno zigomo più alto o dalle labbra più sporgenti, ma da uno sguardo, da un pensiero, da un modo di chinare il capo. Ecco, la seduzione è anche questo, è il modo in cui tu poni la voce. In più c’è la cura del fisico. Sicuramente sono una donna attiva, ho sempre scelto di praticare la danza contemporanea, amo la musica e ho voglia di muovere bene il mio corpo. Poi mi dedico allo yoga, che è un’attività che scolpisce il fisico e calma la mente. Ogni tanto mi metto alla ricerca della crema miracolosa per il viso: non esiste, ma insisto».

Continuando a parlare di seduzione, lei ha interpretato più volte il ruolo di una donna capace di sedurre un ragazzo. È successo in Fotografando Patrizia, nella Lupa e nel recente successo Inganno.

«Da sempre porto in scena donne molto complesse, potenti e forti. Il successo di Inganno è stata una sorpresa per tutti tranne che per me. Io ho il polso del pubblico, a teatro lo sento respirare: la prima fila spesso è a poco più di un metro da me. Inganno è stato molto visto anche nei Paesi orientali, dove ci sono religioni e culture diverse, perché le lingue non contano, sono fondamentali i sentimenti che tu porti in scena. Quando ho recitato Giovanna d’Arco in America, a New York, parlavo in italiano, ma il pubblico capiva esattamente quello che stava succedendo. C’è un rapporto che scaturisce dalla tensione emotiva dell’attore».

«Gabriella in Inganno ha raccontato una storia nel modo più vero, perché interpretato da una donna vera, quindi con le sue rughe, con i suoi cedimenti e con tutti i problemi che l’innamorarsi di un giovane sconosciuto possono portare con sé. Interpretavo una donna matura e sono una donna matura, quindi il pubblico si è riconosciuto. A quell’età è vero che cede la linea del collo e del viso, però sei anche molto più forte, e quindi hai un potere attrattivo nei confronti di un giovane che una donna che ha cancellato i suoi segni dal volto e dal fisico non può avere».

La vita di Monica Guerritore, tra lavoro e vita privata

Com’è riuscita a incastrare palcoscenico, cinema e famiglia?

«Con tanta fortuna e tanta organizzazione. Ho lavorato spesso con il mio compagno, Gabriele Lavia, e quando è nata la nostra prima figlia abbiamo avuto accanto una tata straordinaria, Tata Maria. È una storia buffa: io ero incinta, ho recitato Lady Macbeth fino a due settimane prima del parto, e Maria è venuta in teatro a Milano. Aveva come referenza Johnny Dorelli, che ho chiamato al telefono e mi ha detto: “Ho cambiato molte donne, ma mai Tata Maria”. Da quel momento è entrata nella nostra vita. Ci accompagnava in tournée e si occupava delle bambine quando eravamo sul palco. Sapevamo che le nostre figlie soffrivano per le nostre assenze, ma questo è il prezzo della vita d’attore».

Cosa significa per lei oggi stare bene?

«Stare bene significa avere la consapevolezza di dove sono fisicamente e psicologicamente, è riconoscere che non mi manca niente. Naturalmente ho dovuto combattere con il tempo, ma sono davvero convinta che i 60 anni di oggi sono molto diversi da quelli di una volta. Mi guardo con più dolcezza e accettazione rispetto al passato. Per me il benessere è armonia tra corpo e psiche, che non c’entra niente con la perfezione. Oggi sono in una fase in cui rigenerarsi significa anche saper rallentare, ritagliarsi spazi, svuotare. Dopo un film o uno spettacolo, ad esempio, torno a casa e metto a posto gli armadi, dipingo un tavolo, mi isolo: è il mio modo per ricaricarmi. Ho la fortuna di vivere un grande amore con cui tra pochi mesi festeggio venticinque anni di vita insieme (Roberto Zaccaria, ex presidente della Rai, ndr). L’amore maturo ha la bellezza di starsi accanto senza predominio, senza dire: “questo l’hai fatto grazie a me”. Nessuno parla mai del valore della maturità. Mi piace ripetere che Roberto mi sostiene senza farlo vedere troppo».

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Francesco Bianco

Giornalista professionista dal 1997, ha lavorato per il sito del Corriere della Sera e di Oggi, ha fatto interviste per Mtv e attualmente conduce un programma di attualità tutte le mattine su Radio LatteMiele, dopo aver trascorso quattro anni nella redazione di Radio 24, la radio del Sole 24 Ore. Nel 2012 ha vinto il premio Cronista dell'Anno dell'Unione Cronisti Italiani per un servizio sulle difficoltà dell'immigrazione. Nel 2017 ha ricevuto il premio Redattore del Gusto per i suoi articoli sull'alimentazione.
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