Disabili

La paura di credere alla scienza

La terza lettura ha riaperto il cassetto dei dubbi che accompagnano la mia vita di paraplegico in attesa che una scoperta scientifica mi consenta di camminare.

L’ho letta una prima volta e ho gioito. L’ho letta una seconda volta e il sorriso si è un po’ spento sul mio viso. La terza lettura ha riaperto il cassetto dei dubbi che accompagnano la mia vita di paraplegico in attesa che una scoperta scientifica mi consenta di camminare. Di cosa sto parlando? Della notizia pubblicata su Science e riportata nella sezione Salute del Corriere.it dal titolo Tornare a camminare dopo una paralisi. Grégoire Courtine, 37 enne ricercatore del laboratorio di Spinal cord repair al Swiss Federal Institute of Technology di Losanna, ha condotto diversi esperimenti che avrebbero dimostrato che è possibile la ripresa del movimento in topi che avevano subito un grave trauma che comportava la paralisi grazie a un mix di farmaci e impulsi elettrici.

Immaginate l’effetto dirompente che una notizia come questa può generare nella mente di chi come me, un giorno sì e l’altro pure, spera di riacquistare quella parte del proprio corpo che il trauma ha lasciato semimorta e incontrollabile. L’articolo, seppur scritto con il massimo della prudenza – com’è doveroso che sia essendo un trial su topolini di laboratorio – non mi ha lasciato indifferente. La mia mente ha spiccato il volo verso quei desideri reconditi e forse infantili: la voglia di una corsa, le passeggiate in montagna, una semplice sgambettata mano nella mano con la mia compagna sulla battigia del mare… Era inevitabile, ma undici anni di paraplegia sono tanti, abbastanza per raffreddare gli entusiasmi.

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Quando un incidente mi spezzò la spina dorsale, quasi per autoconvincermi della guarigione prossima, avevo fissato in dieci anni il tempo in cui la scienza mi avrebbe rimesso in piedi. Riposi le speranze nelle prodigiose cellule staminali che sembrava potessero fare miracoli, ma rimasi deluso. Le staminali effettivamente davano benefici (stiamo sempre parlando di esperimenti sui ratti da laboratorio), ma questi miglioramenti poi si estinguevano in breve tempo a causa di rigetto del sistema immunitario o perché queste nuove cellule degeneravano in tumori. Ora le cose sono migliorate è certo, ma il percorso è ancora lungo.

Ricordo le voci di cure miracolose che spinsero alcuni tetraplegici a pensare di testare su se stessi le cellule staminali senza attendere che la scienza medica completasse il suo lavoro. Alcuni pensarono di provare vie alternative come quella proposta del medico cinese Huang di Pechino: un trapianto di cellule gliali olfattive embrionali da oltre 25 mila euro – che comprendeva anche agopuntura e massaggio cinese. Forse qualcuno poi l’ha veramente fatto, ma nessun giornale ha mai scritto di un tetraplegico che sia tornato a camminare.

Qualche mese fa mi accorsi che la data immaginaria che mi ero fissato per tornare a camminare era scaduta senza che la scienza medica mi avesse permesso di migliorare. E non fu un momento piacevole: mi sentii quasi come se avessi fallito un appuntamento fondamentale per la mia vita. Ma erano tutte mie fantasie, impalcature mentali fragili perché sostenute dalla speranza di tornare alla vita precedente all’incidente. Quasi fosse migliore. Poi guardai indietro e tirai le somme della mia esistenza: ero riuscito a costruirmi una vita soddisfacente. Sono un uomo fortunato: ho una compagna meravigliosa che supplisce alle mie mancanze, lenisce i miei dolori e, cosa non meno importante, mi scuote vigorosamente quando il termometro dell’umore raggiunge i minimi. Una figlia adottiva che oramai non vede più la mia disabilità e che mi fa dannare come fanno tutte le adolescenti. E un lavoro che mi fa vivere dignitosamente.

Oggi però ho paura, nonostante la notizia di Losanna, di fissare un altro traguardo ed è per questo che il sorriso mi si è spento in volto. Non lo nego: lo studio di Grégoire Courtine che ha ottenuto la pubblicazione su giornali scientifici di primo piano – Science e Nature neuroscience – mi ha spinto a fantasticare una vita senza carrozzina, ma la paura di un’altra delusione è troppo forte. Quanti dubbi a cui solo la scienza potrà dare risposte: accanto al movimento tornerà anche la sensibilità? E quanto sarà intenso il dolore durante la deambulazione? E ancora: questo esperimento vale solo per le lesioni recenti o sono comprese quelle d’antan come la mia? Ma forse prima ancora di rispondere a queste domande la ricerca dovrà dimostrare che la via scelta è quella giusta.

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