
Essere poveri non significa solo avere meno risorse. Significa, sempre più spesso, vivere meno a lungo. E non di pochi mesi, ma di anni interi. Fino a nove. Già uno studio inglese di cinque anni fa era arrivato a conclusioni molto simili.
È il dato che emerge da una recente analisi statunitense che mette in relazione reddito, salute e longevità, mostrando come le disuguaglianze economiche possano tradursi in una vera e propria condanna biologica, soprattutto nella terza età.
Un tema che oggi è al centro del dibattito scientifico e sociale e che rappresenta il filo conduttore del Congresso nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), “Liberi e Longevi”, in corso fino al 20 dicembre a Scampia, luogo simbolo di fragilità ma anche di resilienza e riscatto.
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Legame tra povertà e longevità: quando il reddito decide quanti anni vivrai
Secondo un’analisi condotta dal National Council on Aging (NCOA) e dal LeadingAge Long-Term Services and Supports Center dell’Università del Massachusetts a Boston, gli anziani con redditi più bassi pagano un prezzo altissimo in termini di aspettativa di vita.
I dati, basati sull’Health and Retirement Study, mostrano che gli over 60 con un reddito annuo inferiore ai 20.000 dollari muoiono in media fino a nove anni prima rispetto ai coetanei con redditi pari o superiori ai 120.000 dollari.
Tra il 2018 e il 2022 il tasso di mortalità degli anziani più poveri ha raggiunto il 21%, quasi il doppio rispetto al 10,7% registrato tra i più abbienti.
Perché la povertà fa ammalare (e accelera l’invecchiamento)
«Non si tratta solo di avere meno possibilità di curarsi», spiega Dario Leosco, presidente SIGG e professore ordinario di Geriatria all’Università degli Studi di Napoli Federico II.
«Lo svantaggio socioeconomico genera una condizione di stress cronico che si riflette direttamente sull’organismo, favorendo un’infiammazione sistemica. Questo terreno biologico aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, neurodegenerative e oncologiche, e indebolisce il sistema immunitario».
In altre parole, la povertà entra nel corpo, modifica i meccanismi biologici e accelera il declino funzionale, riducendo non solo gli anni di vita, ma anche quelli vissuti in buona salute.
Legame tra povertà e longevità: un problema che riguarda anche l’Italia
L’Italia resta tra i Paesi più longevi al mondo, ma il quadro non è privo di ombre. Secondo i dati ISTAT, circa un milione di over 65 vive in condizioni di povertà assoluta, una cifra destinata a crescere in assenza di politiche mirate.
Già nel 2017, un ampio studio pubblicato sul British Medical Journal nell’ambito del progetto europeo LifePath aveva dimostrato che una condizione socioeconomica svantaggiata riduce l’aspettativa di vita di 4–7 anni, con un impatto paragonabile a quello di fattori di rischio come fumo, diabete e sedentarietà.
Sanità pubblica e disuguaglianze: una linea sottile
«Il nostro Servizio Sanitario Nazionale ha rappresentato per decenni un potente fattore di protezione», osserva Leosco. «Ma una sanità pubblica sempre più sotto pressione, unita a una crescente privatizzazione delle cure, rischia di creare barriere economiche che incidono direttamente sulla longevità».
Oggi oltre il 15% della spesa sanitaria è sostenuta direttamente dalle famiglie. Un dato che, nel tempo, potrebbe trasformare l’accesso alle cure in un privilegio e non in un diritto.
Longevità come diritto, non come privilegio
Il messaggio che arriva dalla ricerca è netto: la longevità è anche una scelta politica. Le decisioni economiche, sociali e sanitarie determinano chi potrà invecchiare in salute e chi no.
«Costruire una società più equa – conclude Leosco – è la più efficace politica di salute pubblica. La longevità non deve essere riservata a pochi, ma garantita a tutti».
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