Salute

Alcolismo, come uscirne

I consigli degli esperti per abbandonare la bottiglia e i centri da contattare

In Italia si conta che gli alcolisti siano circa un milione, tre milioni i bevitori a rischio e tre volte tanto le persone che dovrebbero ripensare al proprio modo di bere. Sono cifre impressionanti, ma probabilmente sottostimate, poiché si parla di abitudini ampiamente accettate dalla società e riconosciute come pericolose o patologiche solo in casi estremi.
Ma non è così: l’abitudine all’alcol è un problema sociale che riguarda sempre di più giovani e giovanissimi. L’alcol si nasconde in bevande di buon sapore e di bell’aspetto, spesso legate a immagini di prestigio e di successo (basti guardare uno dei tanti spot in televisione), si beve per stare insieme in allegria, tra amici o colleghi, per celebrare un momento felice o per dimenticarne uno triste, il tutto a portata di mano e al prezzo di pochi euro.

Una pozione magica difficile da controllare
Tre quarti delle persone bevono alcolici, non tutti certo sono alcolisti. L’alcol, però, appare come una pozione magica in grado, con pochi sorsi, di sedare, eccitare, disinibire. Dietro a questa magia, c’è una sostanza tossica capace di indurre dipendenza, una molecola inutile dal punto di vista nutrizionale (calorie pure, senza l’apporto di proteine, grassi o carboidrati) che però il corpo assorbe con grande facilità e che raggiunge e danneggia rapidamente tutti gli organi. Le vittime di questa invasione sono il fegato e il pancreas, ma anche il sistema nervoso centrale, la bocca e le vie digestive, il sistema riproduttivo. Sotto l’effetto dell’alcol, si diventa un pericolo per sé e per gli altri, alla guida, sul lavoro, in famiglia.

Gruppo San Donato

Si parla di quantità a basso rischio, stabilita per convenzione in un bicchiere di vino al giorno per una donna e due per un uomo, mentre per anziani, bambini e ragazzi, future mamme, persone che assumono regolarmente farmaci, il bere analcolico dovrebbe essere la regola.

Il sostegno del medico e della famiglia
L’alcolismo è un mostro con tante teste, nutrito da fattori fisiologici, psicologici e sociali, intrecciati diversamente in ogni individuo. Per uscirne, occorre affrontare tutte queste teste, una per una. Prima di tutto bisogna riconoscere che c’è un problema, e che quel problema sta nel fondo del bicchiere, bisogna aver ben chiaro cosa c’è dietro alla necessità di bere e cosa c’è dietro a quella di smettere. È un primo passo, non di rado compiuto da un familiare o un amico che sta male, cui seguono quelli diretti verso un medico, un servizio pubblico o un’associazione territoriale, come quelle in cui si impegnano molti ex alcolisti in trattamento.
In questo lungo viaggio verso la riabilitazione il medico è un alleato, perché può curare danni provocati dall’abuso e fornire un sostegno farmacologico, utile nei primi mesi di trattamento, come la stampella che si dà a chi esce dal pronto soccorso con una gamba ingessata e che aiuta a stare in piedi, oppure più in là nel tempo, in vista di situazioni di particolare pressione, come il Natale o un pranzo di nozze, quando dire “no, grazie” può essere un’impresa.

I farmaci per resistere all’astinenza
Si usano, sotto stretto controllo medico, farmaci per modulare l’umore, come le benzodiazepine, o per rendere più facile resistere all’astinenza, con sostanze che agiscono sulle strutture cerebrali coinvolte nei meccanismi del piacere e della dipendenza, come il naltrexone o l’acamprosato.

Spiega il gastroenterologo Valentino Patussi, responsabile del Centro di alcologia dell’Azienda ospedaliera Careggi di Firenze e coordinatore tecnico del Centro alcologico regionale della Toscana: «Ci sono anche sostanze che trasformano in un’esperienza spaventosa quello che prima era un piacere, come il disulfiram, che blocca l’enzima Adlh, necessario a metabolizzare l’acetaldeide, un derivato dell’assorbimento dell’etanolo, e che al primo bicchiere provoca malessere, rossore, vomito, giramento di testa, fino alla perdita di coscienza. È quanto accade, senza farmaci, ma per tratti genetici ereditari, in alcune popolazioni asiatiche, in Giappone, Corea, Vietnam e parte della Cina, che hanno una carenza congenita di tali enzimi e, manco a dirlo, un tasso di alcolismo fino a sei volte più basso degli standard europei».

Due anni per cancellare la dipendenza
Dietro alle storie di alcol c’è quasi sempre il coinvolgimento di un’altra persona. Accanto a ogni alcolista «umido», il bevitore, c’è almeno un alcolista «secco», una moglie che non vuol vedere, un amico che trascina agli happy hour, un figlio che si vergogna del padre. Quando si decide di cambiare, si inizia un percorso che prima o poi deve coinvolgere una comunità solidale, gente capace, per esempio, di festeggiare un compleanno anche senza spumante. Ci vuole tempo, un anno e mezzo o due, prima di accorgersi che questi sacrifici regalano un buon sonno, un umore migliore, meno rischi di malattia, più soldi, la riscoperta di quanto è bello aiutare il figlio a fare i compiti o fare l’amore con la propria compagna.

Dal fegato al sesso, i danni dei troppi bicchieri
Rapidamente trasportato dal sistema circolatorio, l’alcol danneggia il fegato, che filtra pressoché tutto l’etanolo immesso in corpo ed è esposto a steatosi (accumuli di grasso) ed epatite, fino alla cirrosi e al carcinoma epatico.

Anche il pancreas è a rischio di infiammazioni croniche gravi. Il sistema nervoso centrale è un bersaglio immediato (come ben sanno molte vittime di incidenti stradali) e riflessi rallentati, ridotta velocità di reazione agli stimoli, sonnolenza, scarso equilibrio e alterazioni della visione sono alcuni tra i segni più evidenti della sbronza. A lungo termine, l’eredità si fa più pesante e le cellule cerebrali possono venire irreparabilmente bruciate, fino ad arrivare a disturbi della memoria, stato confusionale, demenza, atrofia cerebrale. Sono interessati poi l’apparato cardiovascolare e quello riproduttivo, maschile e femminile.
Anche se sotto forma di un whisky d’annata, l’alcol ingerito irrita e infiamma i tessuti lungo tutto il suo percorso, dalla bocca fino all’intestino, ed è ormai dimostrata la sua azione cancerogena su cavo orale, faringe, esofago, stomaco, mammella.

Il test che aiuta a capire se si è a rischio alcolismo
Per identificare precocemente l’esistenza di problemi correlati all’alcol, i medici hanno a disposizione vari metodi. Uno dei più semplici, usato fin dagli anni Ottanta, è il questionario Cage, acronimo inglese delle quattro domande inserite nel colloquio con il paziente o con i familiari:
• Hai mai sentito la necessità di ridurre (in inglese Cut down) il bere?
• Sei mai stato infastidito (Annoyed) da critiche sul tuo modo di bere?
• Hai mai provato disagio o senso di colpa (Guilty) per il tuo modo di bere?
• Hai mai bevuto alcolici appena alzato (Eye opener)?
Una risposta positiva uguale sospetto negli adolescenti, negativo negli adulti. Due risposte positive uguale alta probabilità. Tre o quattro risposte positive uguale certezza .

Dove chiedere assistenza
Il numero verde Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità 800.632000 offre un orientamento tra gruppi di aiuto, servizi territoriali (Sert) e centri di alcologia per bevitori a rischio, familiari e operatori sanitari in cerca di informazioni e assistenza: la chiamata è gratuita e anonima dal lunedì al venerdì tra le 10 e le 16.
Oppure ci si può rivolgere all’Aicat (Associazione italiana dei club degli alcolisti in trattamento), agli Alcolisti anonimi (tel. 06.6636620), all’ Al-Anon/Alateen (tel. 02.504779) per familiari e amici di alcolisti, con programmi specifici per adolescenti.
Donatella Barus – OK La salute prima di tutto

Ultimo aggiornamento: 14 ottobre 2009

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