Salute

Ci si può “ammalare” di dolore? Sì. In quali casi e perché diventa cronico

Il dolore cronico interessa quasi la metà degli italiani e non sempre viene trattato adeguatamente: ecco a chi rivolgersi per curarlo e cos'è la terapia del dolore

Condiziona l’esistenza di un individuo, incide sulla qualità della sua vita e può compromettere relazioni sociali, attività lavorative e abilità personali: quando il dolore si trasforma da spia di un malessere a malattia stessa, diventando cioè “cronico”, è necessario affidarsi a trattamenti terapeutici specifici in grado di ridurre l’impatto della sofferenza sull’individuo. Purtroppo, infatti, è possibile “ammalarsi” di dolore anche quando si è guariti da ciò che l’ha provocato inizialmente, come una patologia, un trauma, una frattura o un’infezione.

«Il dolore cronico è una malattia che ha risvolti non solo fisici ma anche psicologici e sociali» spiega Vittorio Schweiger, Ricercatore Universitario e Responsabile della Struttura Semplice di Terapia del Dolore presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata di Verona. «Per questo deve essere affrontata nella sua globalità, attraverso un approccio multidisciplinare volto a migliorare significativamente la qualità della vita dell’individuo». Con l’aiuto del professor Schweiger cerchiamo di capire come affrontare questa situazione.

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Come fa il paziente a capire se il dolore che prova è acuto o cronico?

Quando il dolore compare all’improvviso e cessa con la guarigione della malattia che lo ha causato, il paziente si trova di fronte a un dolore acuto. In questo caso il dolore è un sintomo “utile”, in grado di segnalarci la presenza di una malattia pericolosa per la nostra salute e spesso consente al medico di giungere a una diagnosi e a un adeguato trattamento. Il dolore diventa cronico quando perdura nel tempo e non è più solo un campanello d’allarme ma diventa una malattia vera e propria. Per essere definito cronico, il dolore deve durare per più di tre mesi almeno dalla sua insorgenza ma va sottolineato, purtroppo, che in una rilevante percentuale di pazienti esso permane per anni, condizionando pesantemente la qualità della vita. Se non viene trattato, il dolore cronico rischia di avere un impatto devastante sulla persona: è per questo che bisogna attuare un approccio multidisciplinare per affrontare il problema nella sua globalità.

Perché il dolore diventa cronico e non cessa con la guarigione della malattia che lo ha causato?

Esistono diversi motivi per cui il dolore diventa cronico. Ad esempio, può presentarsi nel caso in cui una persona abbia trascurato la sua salute. Un mal di schiena persistente che non viene curato né con i farmaci né con gli adeguati esercizi fisici comporta un dolore che persiste e non dà tregua. Il dolore cronico può anche essere di tipo neuropatico, legato cioè a un danno sulle strutture nervose. Questo può insorgere in seguito a infezioni virali (ad esempio erpetiche), traumi, tumori e ictus. Il dolore tende a cronicizzare anche quando è correlato all’artrosi, che è una malattia degenerativa cronica per la quale non esistono terapie in grado di modificarne l’evoluzione. Soprattutto nelle persone anziane, quindi, il dolore si fa sentire in modo continuo. Nel caso dell’artrite reumatoide, che si può curare ma dalla quale non si può guarire, il dolore è strettamente correlato all’infiammazione delle articolazioni e non sempre il trattamento farmacologico è in grado di spegnerlo completamente (diventando, così, cronico). C’è anche una rilevante percentuale di pazienti che accusa un dolore cronico associato ad alcune forme tumorali. Infine, il dolore può diventare cronico se dopo un intervento chirurgico non vengono applicati trattamenti specifici per alleviarlo: spesso, per timore di chiedere aiuto, il paziente sopporta il dolore post-operatorio come se fosse una conseguenza “dovuta” della chirurgia. In realtà non è così: il dolore va subito curato per non rischiare che permanga nel tempo.

Il dolore cronico può colpire tutti indistintamente?

Può essere accusato da chiunque ma è strettamente correlato alla causa scatenante: nel caso dell’artrosi, ad esempio, ne sono colpiti maggiormente gli anziani perché questa malattia insorge soprattutto con l’avanzare dell’età. Per quanto riguarda le cefalee invece, che se sottovalutate e non curate adeguatamente possono diventare croniche, il dolore persistente può essere provato anche dalle persone più giovani.

Quali sono le conseguenze del dolore cronico sull’organismo e sulla qualità della vita del paziente?

Ogni giorno ci confrontiamo con pazienti che hanno uno scadimento importante della loro qualità di vita: non si tratta solo di persone anziane ma anche di giovani che non possono godere di una certa “normalità”. Questo ha un impatto negativo dal punto di vista lavorativo, sociale e familiare. Avere un dolore cronico non adeguatamente trattato può portare ad abbandonare il posto di lavoro e a non riuscire a far fronte alle esigenze quotidiane e di sostentamento di una famiglia. Tutto ciò condiziona fortemente l’esistenza di una persona, causandone un deterioramento globale.

Quanti ne soffrono in Italia?

Lo studio europeo “Pain in Europe”, pubblicato nel 2006, rivelava che in Italia il 26% della popolazione soffriva di dolore cronico. Le indagini più recenti, come quella condotta da Movimento Consumatori in collaborazione con Centro Studi Multipharma, hanno invece evidenziato che oltre il 40% degli italiani accusa questo problema. Un dato molto significativo e preoccupante che noi riscontriamo quotidianamente nei centri di terapia antalgica.

Se una persona si accorge di provare un dolore continuativo nel tempo, a chi si deve rivolgere?

Per prima cosa bisogna recarsi dal medico di famiglia: questo ha il compito di indagare la causa del dolore, eseguire una diagnosi utilizzando le valutazioni cliniche, strumentali e laboratoristiche e impostare una terapia adeguata. Qualora non fosse possibile agire direttamente sul motivo scatenante del dolore o la situazione clinica del paziente fosse particolarmente complessa, è necessario rivolgersi a un Centro per la terapia del dolore.

Cosa si intende per terapia del dolore?

La terapia del dolore è un insieme di procedure atte a migliorare la condizione psico-fisica del paziente. Comprende i trattamenti farmacologici, che seguono linee guida internazionali, le infiltrazioni antalgiche, gli interventi neurolesivi e neuromodulativi come il posizionamento di neurostimolatori e gli interventi di tipo psicologico. Le organizzazioni territoriali delle reti di terapia del dolore prevedono un approccio su più livelli, che inizia nell’ambulatorio del medico di medicina generale. Nei centri di riferimento lavorano team multidisciplinari che sono costituiti dai terapisti antalgici, coadiuvati da altre figure quali ad esempio chirurghi maxillo-facciali, neurologi, chirurghi del rachide, ortopedici, neurofisiologi, psicologi e psichiatri che hanno un importante ruolo nel valutare e trattare i pazienti con questo tipo di problema.

Dove si svolge la terapia del dolore? C’è anche la possibilità di assistenza domiciliare?

Si svolge soprattutto a livello ambulatoriale periferico o ospedaliero. Per alcuni pazienti, in particolare quelli oncologici o affetti da patologie degenerative con importanti caratteristiche di invalidità, vengono attivate delle modalità di assistenza grazie alle quali vengono valutati e trattati a domicilio.

È vero che c’è ancora molta resistenza nei confronti della terapia del dolore, soprattutto da parte dei medici di famiglia?

Da questo punto di vista si deve sicuramente fare di più: la patologia è fin troppo nota ma le modalità terapeutiche devono essere conosciute meglio da tutti, anche dai medici di base stessi. È necessario quindi diffondere il concetto di “dolore cronico” e di “trattamento del dolore” in modo tale che anche questi professionisti siano aggiornati e bene informati a riguardo.

In questo caso quanto è importante il rapporto medico-paziente?

Il rapporto medico-paziente è fondamentale. Alcune indagini hanno infatti evidenziato che molti pazienti sottoposti ai trattamenti di terapia del dolore riportano un grado di soddisfazione particolarmente elevato se la relazione che intercorre con il curante è stretta e continuativa, anche se il risultato antalgico non è completo. Gli algologi sono in stretto contatto con le persone che si rivolgono a questi centri perché il dolore, variando di intensità e durata, deve essere frequentemente monitorato. In taluni casi, infatti, è necessaria una sorveglianza continua e un’attenzione pressoché quotidiana. Il paziente non deve aver paura di rivolgersi al medico di famiglia se prova un dolore continuativo e talvolta invalidante: aspettare o ignorare il problema può solo peggiorare la situazione e aggravare il dolore stesso. Una persona che accusa questo malessere, senza conoscerne il motivo, deve sentirsi libera di chiedere una cura (tra l’altro la legge 38 del 2010 tutela questo diritto): il concetto è che non bisogna accettare passivamente il dolore come se fosse una conseguenza “dovuta” di una malattia, un’infezione e una fase post-operatoria. Il dolore va messo a tacere.

Chiara Caretoni

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