
Un flûte di spumante per fare un brindisi in un’occasione importante, una birretta da sorseggiare mentre si mangia la pizza o un cocktail durante l’aperitivo. Il consumo di alcol in gravidanza è più comune di quanto si pensi, tant’è che, dalla raccolta dati 2022 del Sistema di Sorveglianza bambini 0-2 anni, è emerso che il 15% delle donne incinte ha bevuto alcolici. Tendenza, questa, che non solo si conferma ma persino peggiora in allattamento, dal momento che la percentuale sale al 18%.
Inoltre, un’indagine del 2020 ha rivelato che in Italia il 66% delle donne in età fertile ha assunto alcol, con tassi di binge drinking in aumento tra le giovani. Poiché molte gravidanze non sono pianificate, ciò può portare ad esporre involontariamente il feto a sostanze alcoliche. Un problema serissimo perché l’assunzione di alcolici durante i nove mesi di gestazione, anche in quantità modeste, costituisce un grave rischio per la salute del nascituro.
Per fare luce su questo tema, il 9 settembre si celebra la Giornata internazionale di sensibilizzazione sui Disturbi dello Spettro feto-alcolico (Fetal Alcohol Spectrum Disorders, FASD). Questa sigla racchiude una gamma di anomalie fisiche e comportamentali che possono subentrare nei bambini esposti all’alcol nella pancia della mamma e poi durante l’allattamento. Tra le forme più gravi c’è sicuramente la Sindrome feto-alcolica (Fetal Alcohol Syndrome, FAS), caratterizzata da malformazioni facciali e ritardi neuro-psico motori.
In questo articolo
La sindrome feto-acolica in Italia
La Società italiana di Neonatologia (SIN) fa sapere che ogni anno nel mondo nascono circa 120.000 bambini destinati a sviluppare i Disturbi dello Spettro feto-alcolico, con quasi 2500 casi in Italia. Come riportato dal Ministero della Salute, da un’analisi delle prime feci di 607 neonati condotta nel 2011 dall’ Istituto Superiore di Sanità (ISS) in sette ospedali italiani, è emerso che l’esposizione prenatale all’etanolo è mediamente del 7,9%. Con una variabilità che va dallo 0% di Verona al 29,4% di Roma. Quindi, circa 8 neonati su 100 sono esposti all’assunzione di alcol durante la vita nell’utero.
Per avere un quadro più preciso sul consumo di alcol in gravidanza in Italia, il Ministero della Salute ha recentemente rifinanziato all’ISS un progetto biennale sulla salute materno-infantile, nel quale è previsto il monitoraggio di questa consuetudine tra le donne incinte di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Al progetto, diretto dalla dottoressa Adele Minutillo del Centro Nazionale Dipendenze e Doping, parteciperanno strutture di Neonatologia e Ostetricia in diverse regioni italiane.
Cos’è la sindrome feto-alcolica?
Come ci spiega l’esperta Flavia Indrio, professore di pediatria e puericultura presso l’Università del Salento, «è un insieme delle disfunzioni del sistema nervoso centrale che sono causate dall’alcol assunto durante la gravidanza. Difficile diagnosticarla, perché non esiste un segno specifico, un sintomo, che ne permette l’individuazione. Tuttavia, durante lo sviluppo del feto si possono già vedere degli effetti, come una crescita rallentata, soprattutto se il consumo di alcol è importante e la donna non ha mai smesso di assumerlo nemmeno durante le prime settimane».
I medici faticano ad addossare la colpa di uno sviluppo fetale ritardato all’assunzione di alcol, perché «le donne che bevono non lo dicono al proprio ginecologo. Quindi è raro che la sindrome feto-alcolica venga intercettata durante la dolce attesa. Piuttosto, si risale alla causa quando il bimbo nasce e sviluppa le caratteristiche peculiari della sindrome».
Caratteristiche della sindrome feto-alcolica
Un bimbo con la sindrome feto-alcolica può avere svariate disabilità, che si possono dividere in primarie e secondarie.
Disabilità primarie
- Dismorfismi facciali. Si notano tra gli otto mesi e gli otto anni: difetti degli occhi occhi, piccoli e distanziati; naso corto e piatto; solco naso-labiale allungato e piatto; labbro superiore molto sottile; padiglioni delle orecchie scarsamente modellati; ipoplasia mascellare e mandibolare.
- Ritardo nell’accrescimento. Cioè valori inferiori alla media per altezza, peso corporeo e circonferenza cranica. Possono essere presenti anche malformazioni cardiache.
- Anomalie nello sviluppo neurologico del sistema nervoso centrale. Quindi alterazioni cognitive e comportamentali.
Disabilità secondarie
Le disabilità secondarie, invece, insorgono più tardi e sono la conseguenza delle prime. Soprattutto se la sindrome non è stata mai diagnosticata e quindi i primi disturbi non sono stati trattati. «I bambini che nascono con la sindrome feto-alcolica sono molto più predisposti a disturbi mentali e psicosi» sottolinea Indrio. E infatti tra queste disabilità troviamo:
- problemi di salute mentale;
- assenza di autonomia;
- problemi con il lavoro;
- esperienza scolastica fallimentare;
- problemi con la legge;
- isolamento;
- inappropriato comportamento sessuale.
In che modo l’alcol agisce sul feto?
L’alcol è tossico e arriva al feto ad una concentrazione di poco inferiore a quella ematica materna. Le cellule fetali, però, non sono dotate di enzimi capaci di metabolizzare l’alcol, e quindi ne subiscono gli effetti dannosi. «L’alcol va ad agire direttamente sulla rete neuronale del feto, creando un’alterazione della crescita e un malfunzionamento dei neuroni» continua la specialista. «L’etanolo, infatti, è in grado di attraversare la placenta e altera tutta la circolazione placentare. Quindi al feto non solo arriva una sostanza tossica, ma anche poco sangue, con tutte le conseguenze che ne derivano nello sviluppo degli organi».
«Nonostante queste evidenze, molte future madri continuano a consumare bevande alcoliche, convinte che
un consumo “moderato” di vino, birra, aperitivi, amari o superalcolici non possa nuocere al feto», afferma Luigi Memo, Segretario del Gruppo di Studio di Genetica Clinica Neonatale della SIN.
Quanto alcol genera la sindrome feto-alcolica?
C’è una quantità minima di alcol che scagiona dal rischio della sindrome oppure non c’è? «La quantità di alcol durante la dolce attesa deve essere uguale a zero» avverte l’esperta. «Non tanto perché qualsiasi quantità, da zero a cento, genera un danno. Ma semplicemente perché non sappiamo come reagisce l’organismo di ogni donna. E se in una un bicchiere di vino non fa niente, in un’altra può causare già dei piccoli problemi. Sicuramente, i danni più gravi sono generati da un consumo cronico, quindi da una donna che beve tutti i giorni più di un bicchiere. Ma poiché qualsiasi quantità di alcol ingerito dalla madre giunge direttamente al feto, il rischio di danneggiarlo è in ogni caso possibile anche con un calice ogni tanto».
«È necessario combattere l’accondiscendenza culturale verso il consumo di bevande alcoliche, anche da parte dei professionisti sanitari», conclude Massimo Agosti, Presidente della SIN. «La totale astensione dall’alcol è la sola strada corretta da intraprendere, già da quando si comincia a pensare di voler concepire un figlio. La FASD è una condizione prevenibile al 100% e i medici, in particolare ginecologi, neonatologi e pediatri, devono fornire informazioni chiare e dettagliate sui rischi associati al consumo di alcol in gravidanza».
Esiste una cura?
La sindrome feto-alcolica è una disabilità irreversibile. I pazienti, quindi, hanno a disposizione terapie neuro-comportamentali, mirate soltanto alla semplificazione della loro vita. Familiare, sociale e lavorativa, quando possibile.