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La tiroide funziona male? Occhio a questi sintomi

La tiroide è una ghiandola endocrina che in alcuni casi non funziona in maniera corretta e presenta alcuni campanelli d'allarme. Ecco quali

Concentrazione che va in fumo, flop sotto le lenzuola, spossatezza anche dopo aver dormito come un ghiro, intestino e cuore che fanno le bizze. E, ancora, battere i denti ai primi freddi o sudare a più non posso appena fa capolino la bella stagione. Potrebbero essere tutti campanelli d’allarme di una tiroide che non funziona a dovere.

Come funziona la tiroide?

Questa piccola ghiandola endocrina (ovvero con secrezione interna, che riversa cioè direttamente nel sangue gli ormoni prodotti), del peso di 20-25 grammi, è posta nella parte anteriore del collo ed è formata da due lobi collegati da una parte chiamata istmo, con una forma che assomiglia a quella di una farfalla o di un doppio scudo. Come spiega l’endocrinologo Massimiliano Andrioli nel libro La tiroide per tutti, il suo compito è produrre, tramite apposite cellule chiamate tireociti, gli ormoni tiroidei, che sono di due tipi: T3 o tri-iodotironina (circa il 10% del totale) e T4 o tetra-iodotironina o tiroxina (circa il 90%).

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In sintesi, il sistema funziona più o meno così: una parte del cervello (ipotalamo) libera l’ormone di rilascio della tireotropina (Trh, Thyrotropin releasing hormone) che stimola la ghiandola endocrina situata alla base del cranio (ipofisi) a secernere appunto la tireotropina stessa (Tsh, Thyroid-stimulating hormone), che agisce a sua volta sulla tiroide stimolando la produzione degli ormoni tiroidei. Questi ultimi vengono immagazzinati all’interno della ghiandola, nei follicoli, e successivamente rilasciati nel circolo sanguigno, in base alle necessità dell’organismo.

La tiroide funziona male? Occhio a questi sintomi

Se però la tiroide non funziona in modo corretto, rilascia ormoni in eccesso (ipertiroidismo) o in difetto (ipotiroidismo) rispetto alle esigenze. Alla base della prima condizione ci possono essere soprattutto il morbo di Basedow e il morbo di Plummer, all’origine della seconda una carenza di iodio, la tiroidite di Hashimoto e altri tipi di tiroiditi, l’assunzione di alcuni farmaci.

Per intenderci, si potrebbe paragonare la tiroide a un direttore d’orchestra che deve coordinare i suoi musicisti (cioè organi e varie funzioni corporee, come temperatura, sonno, peso) nell’esecuzione di una sinfonia. Se questo direttore imprime un ritmo troppo veloce o troppo lento, la melodia si altera. E cominciano i problemi, che oggi riguardano circa 6 milioni d’italiani, con una netta maggioranza di donne (da 5 a 8 volte) rispetto agli uomini.

«In alcuni casi, soprattutto nelle fasi iniziali, le malattie della tiroide non presentano sintomi ed è quindi più difficile accorgersi della loro presenza», chiarisce l’endocrinologo Paolo Vitti. «Tuttavia, a mano a mano che la produzione di ormoni tiroidei si altera, i disturbi cominciano a manifestarsi con sempre maggiore evidenza». Ecco allora una guida ai principali sintomi che possono comparire.

Gozzo

Si tratta di una tumefazione, un ingrandimento della tiroide, che può riguardare tutta la ghiandola (gozzo uniforme, diffuso) oppure solo una parte, con la presenza di uno o più noduli (gozzo uninodulare o gozzo multinodulare). «Il gozzo diffuso può essere provocato dal morbo di Basedow, che scatena un aumento del numero delle cellule e della vascolarizzazione, oppure dalla tiroidite di Hashimoto, per la progressiva infiltrazione dei globuli bianchi (linfociti) nella tiroide», spiega l’endocrinologo.

«Un altro motivo che può dare origine a questo tipo di gozzo è la carenza di iodio, che però oggi si verifica sempre più raramente in Italia». Il gozzo nodulare può, invece, essere causato soprattutto da una tendenza genetica a sviluppare dei noduli. In genere, i noduli palpabili riguardano circa il 3-7% degli adulti (1,5% dei maschi e 6,4% nelle donne), mentre quelli non palpabili sono presenti nel 30-60% della popolazione.

Tuttavia, di fronte a un nodulo non c’è da allarmarsi troppo, visto che solo in rari casi (nel 4% circa) si tratta di un carcinoma. Comunque sia, se si ingrandisce troppo, il gozzo può determinare la compressione dell’esofago, con conseguenti difficoltà di deglutizione, o della trachea con senso di soffocamento e difficoltà respiratorie. A volte un gozzo di ampie dimensioni può anche «trascinarsi» verso il basso a causa del suo stesso peso, finendo nella parte superiore della cavità toracica compresa tra i polmoni (mediastino): si parla allora di gozzo retrosternale o gozzo immerso.

Disturbi degli occhi

Lacrimazione eccessiva o troppo scarsa, fastidio alla luce, sensazione di corpo estraneo, bruciore. Nel 30% dei casi il morbo di Basedow, oltre alla tiroide, colpisce anche gli occhi, come spiega Vitti: «La malattia può provocare un’infiammazione modesta o grave dei tessuti orbitari, sia muscolare sia adiposo, che, aumentando di volume, spingono all’esterno il bulbo oculare determinando la caratteristica sporgenza degli occhi (esoftalmo o proptosi) e la difficoltà a muoverli, con conseguente visione doppia. In alcuni casi si può manifestare la difficoltà a chiudere completamente le palpebre, con maggiore vulnerabilità alle infezioni della cornea. Infine, la continua pressione sul nervo ottico può determinare difetti del campo visivo».

Chi già soffre della malattia basedowiana dovrebbe spegnere subito la sigaretta, visto che numerose ricerche scientifiche hanno appurato che proprio il fumo è responsabile della maggiore probabilità di sviluppare disturbi oculari.

Modificazione del peso

L’ipotiroidismo fa accumulare qualche chilo di troppo, perché riduce il metabolismo di base e quindi l’organismo fa più fatica a consumare le calorie assunte con l’alimentazione. L’ipertiroidismo fa abbassare l’ago della bilancia dato che, all’opposto, aumenta il metabolismo. Ma questa regola generale ha diverse eccezioni.

«Le persone con ipotiroidismo spesso non subiscono incrementi di peso perché vanno incontro a un calo dell’appetito e infatti dagli studi scientifici emerge che questa condizione non risulta più frequente tra gli individui obesi rispetto a chi è in forma. Invece, nel caso di ipertiroidismo dovuto a morbo di Basedow il dimagrimento si verifica soprattutto nelle persone più anziane, che magari hanno qualche difficoltà a nutrirsi, rispetto a quelle molto giovani, sotto i vent’anni, in cui peraltro la malattia è frequente, e in cui la malattia provoca anche un maggiore appetito».

Stanchezza

Chi soffre di ipotiroidismo lamenta sovente una perdita di energia, a livello sia fisico, con ridotta forza muscolare e minore resistenza agli sforzi, sia mentale, con disturbi della memoria, difficoltà di concentrazione, sonnolenza diurna, che può manifestarsi anche dopo una notte di regolare riposo. «L’astenia è però un sintomo aspecifico, riconducibile cioè a numerose condizioni e malattie», fa notare Vitti, «perciò non è facile collegarla direttamente a un calo di ormoni tiroidei».

Alterazioni della temperatura corporea

Tipica è la sensazione di caldo nell’ipertiroidismo e di freddo nell’ipotiroidismo. «Ciò avviene perché un eccesso di ormoni tiroidei induce una dilatazione dei vasi sanguigni (vasodilatazione) con conseguente maggiore afflusso di sangue e aumento della temperatura», chiarisce l’endocrinologo, «mentre l’opposto accade se gli ormoni diminuiscono».

Irregolarità intestinali

Gli ormoni della tiroide giocano un ruolo di primo piano anche per quanto riguarda l’intestino, agendo in particolare sulle contrazioni della muscolatura intestinale. In presenza di ipertiroidismo, queste ultime aumentano, provocando un maggior numero di evacuazioni, con feci poco formate, e in alcuni casi una vera e propria diarrea.

All’opposto, nell’ipotiroidismo si verifica una diminuzione delle contrazioni (intestino pigro) che causa stipsi o, comunque, una riduzione del numero abituale di evacuazioni.

Problemi al cuore

Anche l’attività cardiaca può essere influenzata dagli ormoni prodotti dalla tiroide. E molto. In particolare, in caso di ipotiroidismo il battito del cuore tende a essere più lento, con circa 10-20 battiti al minuto in meno rispetto alla norma. Inoltre, nel tempo l’organo riduce l’efficacia delle sue contrazioni (cioè pompa il sangue con minore forza) e del suo rilasciamento (cioè non si riempie adeguatamente). Avviene così che, se da un lato aumenta il lavoro complessivo a cui è sottoposto, dall’altro la sua funzionalità si riduce, fino ad arrivare alla malattia del muscolo cardiaco (cardiomiopatia). Nei casi estremi, se non s’interviene, il cuore si può ingrossare (cardiomegalia).

In caso di ipertiroidismo, al contrario, il battito tende a essere accelerato, con circa 15-20 battiti al minuto in più rispetto alla norma e può comparire anche un’aritmia, soprattutto la fibrillazione atriale, un disturbo in cui l’attività elettrica del cuore è irregolare. Una condizione che potrebbe essere pericolosa, perché, se non trattata, facilita ictus e infarto.

Disfunzioni dell’apparato riproduttivo maschile

Pare proprio che i disturbi della tiroide siano nemici dell’attività sotto le lenzuola. E la scienza lo dimostra. Uno studio pubblicato nel 2018 su Sexual Medicine Reviews e condotto da Andrew Gabrielson della Tulane University School of Medicine, New Orleans, ha esaminato tutte le ricerche fatte in questo ambito fra il 1978 e il 2018.

Ebbene, secondo i dati, le disfunzioni sessuali nell’ipotiroidismo sono comprese tra il 59 e il 63% negli uomini e tra il 22 e il 46% nelle donne, mentre nell’ipertiroidismo tra il 48 e il 77% e tra il 44 e il 60% rispettivamente. Non se la passano bene i maschi, per i quali un disordine degli ormoni tiroidei può significare fare cilecca. Sia l’ipotiroidismo sia l’ipertiroidismo si associano, infatti, a problemi di erezione, ma anche di eiaculazione. In particolare, nel primo caso è frequente quella ritardata, nel secondo quella precoce.

Disfunzioni dell’apparato riproduttivo femminile

Ma ad accusare il colpo sono anche le donne, per le quali, se gli ormoni tiroidei fanno le bizze, si profilano all’orizzonte vari disturbi, quali diminuzione del desiderio e della lubrificazione vaginale, mancanza di orgasmo, dolore durante il rapporto. Ma non solo: ad andarci di mezzo è anche l’apparato riproduttivo.

Ipotiroidismo e fertilità femminile

«C’è una relazione molto stretta tra ghiandola tiroidea e funzionalità ovarica», chiarisce Vitti. «L’ipertiroidismo può causare mestruazioni ravvicinate, con flusso abbondante; l’ipotiroidismo può, invece, provocare mestruazioni irregolari e sporadiche, con flusso scarso, arrivando fino alla loro assenza (amenorrea)». Se quest’ultimo viene trascurato, può dare luogo a una sindrome simile a quella dell’ovaio policistico, caratterizzata da ovaie ingrandite e con tante piccole cisti. La scarsità di ormoni tiroidei potrebbe diminuire la fertilità femminile.

Nel caso della tiroidite di Hashimoto, il sistema immunitario, dopo aver attaccato la tiroide, fa lo stesso anche con altre ghiandole, incluso l’ovaio, dove aggredisce le cellule riproduttive (ovociti) e quelle necessarie per l’ovulazione (follicoli ovarici). Alla lunga ciò potrebbe provocare un esaurimento anticipato della riserva ovarica. Infine, numerosi studi scientifici concordano nell’affermare che le donne sono più vulnerabili alle disfunzioni tiroidee durante la gravidanza e dopo il parto (puerperio), oltre che in menopausa. Tre condizioni in cui la quantità di estrogeni, ormoni fondamentali per il buon funzionamento della tiroide, è scarsa o addirittura assente.

Fragilità ossea

A salire sul banco degli imputati è l’ipertiroidismo, che, se di lunga durata e non curato, può provocare, sia nelle donne che negli uomini, fragilità ossea, con un maggiore rischio di fratture.

«L’osso è un tessuto sottoposto a un processo continuo di riassorbimento e formazione», precisa Vitti. «Normalmente, la quantità di osso distrutto è uguale a quella di osso neoformato, in modo che la massa totale rimanga costante. Poiché l’eccesso di ormoni tiroidei accelera però il riassorbimento osseo, mentre la formazione di osso nuovo rimane costante, ne risulta una diminuzione di tessuto, che appare più poroso e quindi debole».

La tiroide funziona male: quali sono le possibili cause?

Le cause che possono portare a ipotiroidismo o ipertiroidismo sono numerose. Ecco le principali.

Ipotiroidismo

  • Carenza di iodio, un minerale che influisce sul corretto funzionamento della tiroide e sulla produzione di ormoni tiroidei. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il fabbisogno è di circa 150 microgrammi al giorno per un adulto, di 90 per neonati e bambini fino a cinque anni, 120 per bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni, 220 per le donne in gravidanza, 290 per le donne che allattano. Questo prezioso elemento, che rappresenta la «benzina» per la ghiandola, è contenuto soprattutto in pesce di mare, molluschi, crostacei e uova. Chi avesse bisogno di un’integrazione può portare in tavola il sale iodato, ovvero sale da cucina addizionato con iodio (30 microgrammi per un grammo di sale).
  • Tiroidite di Hashimoto, un’infiammazione cronica della tiroide di origine autoimmune, in cui, cioè, il sistema immunitario, deputato a proteggere l’organismo dagli agenti esterni, per errore attacca le cellule tiroidee distruggendole e riducendo così la possibilità della ghiandola di produrre ormoni.
  • Tiroiditi, infiammazioni di vario tipo che colpiscono la tiroide.
  • Altre cause, come trattamenti con iodio radioattivo, interventi chirurgici con asportazione parziale o totale della tiroide (tiroidectomia), assunzione di alcuni farmaci (litio, amiodarone, interferone), lesioni all’ipotalamo, anomalie della ghiandola che risalgono alla nascita.

Ipertiroidismo

  • Morbo di Basedow, una malattia autoimmune che stimola la tiroide a funzionare più del dovuto.
  • Morbo di Plummer, un tumore benigno (adenoma) che si presenta sotto forma di un unico nodulo e può arrivare a secernere quantità molto elevate di ormone tiroideo.

Come si diagnosticano i problemi alla tiroide?

Se rilevate alcuni dei sintomi descritti nell’articolo, il consiglio è quello di bussare alla porta del medico, che, dopo un’accurata visita, saprà suggerirvi le eventuali indagini da fare per formulare una diagnosi appropriata. Ecco quali sono gli esami per valutare la funzionalità della tiroide.

  • Esami del sangue. Misurano i livelli di tireotropina (Tsh) e degli ormoni T3 e T4.
  • Ecografia. Viene effettuata mediante uno strumento (ecografo) dotato di una sonda che, una volta posizionata sul collo, emette ultrasuoni, grazie ai quali è possibile visualizzare la struttura, la posizione, la forma, le dimensioni della tiroide, evidenziando eventuali anomalie.
  • Scintigrafia. È un esame di medicina nucleare basato sulla somministrazione, per via endovenosa, di un radiofarmaco che viene captato dalle cellule tiroidee, consentendo di ricostruire una mappa della funzionalità per aree della tiroide. In particolare, permette di distinguere tra noduli freddi, che producono ormoni in quantità inferiore alla media (ipofunzionanti), e noduli caldi, che secernono ormoni in eccesso (iperfunzionanti). Dopo successive indagini, i primi si rivelano maligni nel 5-8% dei casi, i secondi nello 0,5-1%.
  • Ago aspirato. Consiste nel prelevare con un ago sottile alcune cellule tiroidee all’interno di un nodulo per poi farle analizzare in laboratorio allo scopo di accertarne la natura benigna o maligna. La procedura, che viene effettuata con guida ecografica, dura di solito pochi secondi e non è dolorosa. In alcuni casi potrebbe formarsi un piccolo ematoma nella zona di aspirazione.

Quali sono i tipi di trattamento?

Una volta formulata la diagnosi, si passa alle eventuali terapie.

    • Ipotiroidismo. Generalmente viene trattato con ormone tiroideo, ovvero tiroxina sintetica, chiamata anche levotiroxina sodica. Disponibile in compresse, in forma liquida o in capsule molli, va assunta ogni giorno per tutta la vita.
    • Ipertiroidismo. Viene curato con farmaci tireostatici (metimazolo, propiltiouracile, carbimazolo), che inibiscono la produzione di ormoni tiroidei, a volte in associazione con i betabloccanti (propranololo, atenololo, metoprololo). Altri tipi di trattamento possono essere la terapia con iodio radioattivo, che distrugge il tessuto tiroideo iperfunzionante, e, in alcuni casi, l’asportazione chirurgica di tutta la tiroide (tiroidectomia) o di una sua parte.
    • Noduli. Una volta stabilita la loro natura, viene di volta in volta valutata l’opportunità di asportazione con la termoablazione o il bisturi. Se si tratta di un carcinoma (papillare nell’80% circa dei casi, follicolare nel 15%, midollare nel 5%), oltre all’asportazione totale della ghiandola, è di solito opportuno rimuovere anche i linfonodi posti in prossimità della tiroide, che potrebbero fungere da «centro di diffusione» delle cellule tumorali.

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