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Alfa mannosidosi: se il pediatra conosce la malattia, è più facile individuarla

La dottoressa Graziella Cefalo spiega l'importanza di far conoscere questa patologia ai pediatri per poter accedere più rapidamente all'unica terapia enzimatica sostitutiva esistente

Sono circa cinquanta, accomunate da caratteristiche simili sia dal punto di vista patogenetico sia da quello clinico, e per molte di esse non sono ancora state approvate terapie specifiche: le malattie metaboliche da accumulo lisosomiale originano da anomalie a carico dei lisosomi, cioè organelli cellulari che ospitano alcuni enzimi deputati allo smaltimento di particolari sostanze di scarto. Se questi enzimi funzionano poco o male, il materiale che non viene correttamente degradato si accumula nei lisosomi, dando luogo a un danno cellulare che si traduce in manifestazioni differenti. «Tra questi enzimi c’è l’alfa mannosidasi, che serve a catabolizzare alcuni zuccheri complessi, cioè gli oligosaccaridi» interviene Graziella Cefalo, Responsabile dell’Ambulatorio di Malattie Rare in Età Pediatrica dell’Ospedale San Paolo di Milano. «Se questo catalizzatore biologico è assente o presente in quantità ridotte, gli zuccheri si depositano progressivamente all’interno della cellula, dando luogo a una patologia genetica rara chiamata alfa mannosidosi. Quanto più è deficitario l’enzima e maggiori sono le ripercussioni sull’organismo».

Tuttavia i sintomi di questa malattia, soprattutto inizialmente e presi individualmente, possono sembrare aspecifici e trarre in inganno il genitore ma anche il pediatra. Ciò è aggravato dal fatto che, ad eccezione delle forme gravissime, il bambino nasce sano, senza particolari problematiche, per poi “rivelare” una serie di avvisaglie nei primi mesi o anni di vita. «Il piccolo può presentare alterazioni dell’aspetto fisico, come la macrocrania – cioè la testa grossa – la fronte prominente, i tratti grossolani del volto e una conformazione anomala delle sopracciglia, ma anche frequenti infezioni respiratorie, specialmente otiti di tipo misto, ritardo del linguaggio e dello sviluppo psicomotorio» spiega la dottoressa. Come è evidente, queste manifestazioni cliniche risultano piuttosto ambigue ma se lo specialista conosce l’alfa mannosidosi e unisce i tasselli del puzzle la patologia può essere quantomeno sospettata.

Gruppo San Donato

Il presupposto, infatti, è proprio questo: il pediatra deve sapere dell’esistenza di questa malattia, altrimenti diventa davvero complicato individuarla. A tal proposito, nel nostro Paese – fucina (a volte bistrattata) di menti eccelse e prestigiose – è stato promosso un progetto estremamente all’avanguardia, che potrebbe fungere da modello per iniziative simili future. «Con la collaborazione di due colleghi abbiamo coinvolto una quindicina di pediatri che operano nelle Marche in un corso ad hoc, per far conoscere loro il variegato mondo delle malattie da accumulo lisosomiale. Dopo una prima parte teorica, abbiamo compilato tutti insieme un elenco di sintomi che potesse servire loro nell’identificazione di eventuali anomalie metaboliche. Nei mesi successivi i pediatri hanno costantemente consultato questa symptom check list durante le loro visite ambulatoriali, individuando infine 5 casi sospetti, che sono stati poi indirizzati al Centro di Riferimento Regionale per ulteriori indagini» racconta con orgoglio la dottoressa Cefalo. Questa iniziativa è sicuramente preziosa perché può favorire una certa tempestività nella formulazione della diagnosi, che altrimenti tarderebbe ad arrivare (come spesso accade quando si ha a che fare con una malattia rara).

Progetto-pilota nella Regione Marche
Da sinistra: la Dott.ssa Lucia Santoro, la Dott.ssa Graziella Cefalo e il Prof. Maurizio Scarpa durante il progetto-pilota rivolto a 15 pediatri della Regione Marche

E a proposito di diagnosi precoce, fondamentale per poter accedere più rapidamente all’unica terapia attualmente disponibile in grado di rallentare la progressione della patologia, in Italia si sono fatti passi da gigante: il nostro Paese, infatti, nel 2016 si è fatto promotore di una legge che prevede uno screening neonatale esteso sui bambini, a poche ore dalla nascita, per identificare una quarantina di malattie metaboliche congenite attraverso un semplice prelievo del sangue. «In alcune regioni, tra l’altro, il test è stato implementato con alcune patologie da accumulo lisosomiale e in futuro si cercherà di inserirne sempre di più perché l’identificazione nei primi giorni di vita, la conferma diagnostica e il trattamento immediato, qualora fosse disponibile, possono modificare significativamente la prognosi» aggiunge Cefalo.

E fortunatamente per le forme lievi e moderate di alfa mannosidosi è stata approvata la prima terapia di sostituzione enzimatica. «L’alfa mannosidasi carente o assente, dice la dottoressa, viene riprodotto in laboratorio e poi somministrato nel paziente attraverso infusioni endovenose settimanali. In questo modo si sostituisce o supplementa l’enzima
naturale, che inizia a degradare gli oligosaccaridi nei lisosomi, impedendo loro di accumularsi in cellule, tessuti e organi» spiega la dottoressa. La terapia deve essere supervisionata da medici esperti nel trattamento di malattie da accumulo lisosomiale, che solitamente operano all’interno di Centri di riferimento regionali. Queste strutture, sparse su tutto il territorio nazionale, sono estremamente preziose perché prendono in carico il paziente dall’esordio della patologia in età pediatrica per tutta la vita, occupandosi della salute della persona coinvolta a 360 gradi.

 

Con il contributo incondizionato di   Chiesi

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