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Cervello: ecco il gene che lo invecchia di 12 anni

Presente nei due terzi della popolazione, inizia ad agire dopo i 65 anni

Quante volte vi sarà capitato di chiacchierare amabilmente con degli ottantenni sorprendentemente brillanti che dimostrano molti meno anni di quelli riportati sulla carta d’identità. E quante volte avrete invece conosciuto dei settantenni decisamente più arrugginiti. Molto dipende dallo stile di vita, è innegabile, ma molto dipende anche dal Dna. I ricercatori della Columbia University di New York hanno infatti scoperto un gene che, da solo, è in grado di invecchiare di 12 anni il cervello: si chiama TMEM106B, è presente in due terzi della popolazione e inizia ad agire dopo i 65 anni.

Nuova arma di prevenzione

La scoperta, pubblicata sulla rivista Cell Systems, potrebbe aprire la strada a nuovi esami per prevedere il declino cognitivo degli anziani e a nuove strategie per prevenire l’insorgenza di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.

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Il “turbo” dell’invecchiamento

«Se osserviamo un gruppo di anziani, vedremo che alcuni sembrano più vecchi dei loro coetanei, mentre altri appaiono più giovani: la stessa cosa vale anche per la corteccia frontale, quella regione del cervello responsabile delle funzioni cognitive più sofisticate», spiega Asa Abeliovich, neurologo e co-autore dello studio.

«Le nostre ricerche dimostrano che molte differenze relative all’invecchiamento sono collegate a specifiche varianti del gene TMEM106B: le persone che hanno nel Dna due copie “cattive” di questo gene, hanno una corteccia frontale che appare più vecchia di 12 anni rispetto ai coetanei che hanno due copie “normali” dello stesso gene».

Lo studio

I ricercatori lo hanno scoperto analizzando il Dna prelevato dal cervello di 1.900 persone decedute senza aver mai sofferto di malattie neurodegenerative: andando a valutare i geni che erano “accesi” o “spenti” nelle loro cellule, è stato possibile capire quali varianti genetiche fossero associate ad un invecchiamento più rapido e quali ad un invecchiamento più lento. «Una in particolare è emersa in maniera evidente: TMEM106B», racconta il biologo Herve Rhinn. «Si tratta di una variante genetica molto comune: circa un terzo delle persone presenta due copie di questa variante (una ereditata dalla madre e una dal padre), mentre un terzo ne presenta una copia sola».

Chi è più a rischio

«TMEM106B inizia a farsi sentire quando si superano i 65 anni di età», precisa Abeliovich. «Fino ad allora siamo tutti sulla stessa barca, mentre dopo interviene un fattore stressante che è ancora tutto da chiarire. Le persone che hanno due copie “buone” del gene, riescono a rispondere bene allo stress, mentre quelle che hanno due copie “cattive” vanno incontro ad un invecchiamento cerebrale più rapido».

Un secondo “indiziato”

Lo studio ha rilevato anche una seconda variante genetica (del gene che produce la proteina progranulina) che contribuisce all’invecchiamento del cervello: è localizzata su un cromosoma diverso rispetto a TMEM106B, ma è coinvolto nella stessa cascata di segnali molecolari all’interno delle cellule. Entrambi sono associati anche ad una rara malattia neurodegenerativa chiamata demenza frontotemporale.

Nel vortice della neurodegenerazione

Lo studio non ha indagato il ruolo di questi geni nelle malattie neurodegenerative, perché si è concentrato solo su persone sane, «ma di certo – sottolinea Abeliovich – la malattia si sviluppa sempre a partire da un tessuto sano. E’ chiaro che la presenza di queste varianti genetiche accelera l’invecchiamento e di conseguenza aumenta anche la vulnerabilità alle malattie, ma è vero anche il contrario, e cioè che se si hanno malattie neurologiche il cervello invecchia prima. E’ un circolo vizioso».

Elisa Buson

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