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Cervello e organismo: le centraline dell’ansia

Esperienze traumatiche provocano forti paure e ansia: l'esperta di OK Paola Vinciguerra spiega come affrontarle.

Nella sua ‘confessione’, pubblicata sul numero di Ok di luglio/agosto 2014, Federica Pellegrini racconta i problemi d’ansia vissuti nel 2008. La dottoressa Paola Vinciguerra, Presidente dell’Eurodap – Associazione europea per il disturbo da attacco da panico – spiega come affrontare situazioni simili.

Quando si vivono esperienze traumatiche alcune persone ne restano colpite a lungo. L’evento è rivissuto più volte, di solito nel corso di incubi o flashback, cioè scene retrospettive. È quanto è successo a Federica Pellegrini: quel malore accusato in gara le aveva fatto provare paura intensa e impotenza, difficili da dimenticare, scatenandole crisi d’ansia. Potrebbe trattarsi di una forma di disturbo d’ansia chiamata in psicoterapia disturbo post-traumatico da stress (PTSD). È giocoforza l’evitamento di stimoli associati al trauma come meccanismo per controllare i sintomi di una reazione di allarme crescente: la Pellegrini ha raccontato di fuggire, in alcune circostanze, alla sola vista dell’acqua. Questo differenzia la paura dall’ansia. La paura è legata a «pericoli in corso», l’ansia si prova per situazioni non pericolose nella realtà, ma per la proiezione che noi facciamo sulla realtà del nostro stato di allarme psichico o di una memoria traumatica che riemerge.

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} CAUSE. Problemi fisici, eventi potenzialmente letali per se stessi o per altri e la morte di persone vicine, sono tutte possibili cause di PTSD. Nel corso dell’evento stressante la persona prova paura intensa, impotenza oppure orrore.

} SINTOMI. Si manifestano a livello fisico e psico-comportamentale. A volte l’esordio dei sintomi è ritardato: si verificano dopo molti mesi o anche anni dall’evento traumatico. A quelli fisici, descritti nel disegno accanto, si associano quelli psico-comportamentali: i più ricorrenti sono difficoltà nel controllo delle emozioni, irritabilità, rabbia improvvisa o confusione emotiva, attenuazione della reattività, difficoltà a concentrarsi, diminuzione dell’affettività, perdita di prospettive per il futuro, senso di colpa per non riuscire a svolgere i propri compiti, ricordi intrusivi, atteggiamenti di evitamento e fuga rispetto all’esposizione a fattori scatenanti simili all’evento traumatico. La Pellegrini, infatti, ha raccontato di non riuscire nemmeno a entrare in acqua quando l’ansia toccava l’apice.

} CURE. Per ottenere una remissione completa dal PTSD occorrono in media sei-otto mesi, ma in genere i pazienti iniziano a stare meglio già dopo le prime quattro-sei settimane di terapia. Il trattamento può avvenire su due livelli: farmacologico e psicoterapeutico. Valide anche le attività di supporto come il mental coaching, lo yoga e il training autogeno.

  • Farmaci. Antidepressivi e ansiolitici possono alleviare i sintomi del disturbo post-traumatico da stress, anche se in genere risultano meno efficaci che negli altri disturbi d’ansia. Nausea e sonnolenza sono gli effetti collaterali più noti. Alcune persone lamentano anche disfunzione sessuale e irritabilità. I disturbi dell’umore compaiono in genere a inizio cura e scompaiono poco dopo . Una ricalibratura del dosaggio o il passaggio a un altro farmaco risolve in genere i problemi
  • Psicoterapia. Tecnica elettiva per la cura del disturbo post-traumatico da stress è l’EMDR, Eye Movement Desensitisation and Reprocessing, indicato come linea guida dall’Oms. Questo approccio psicoterapico si basa sulla scoperta che alcuni stimoli esterni possono essere particolarmente efficaci per superare un grave trauma. In particolare, l’esecuzione di alcuni movimenti oculari, o di altre forme di stimolazione alternata destra/sinistra, da parte del paziente durante la rievocazione dell’evento permette di riprendere o di accelerare l’elaborazione delle informazioni legate al trauma, provocando una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali. L’EMDR considera tutti gli aspetti di una esperienza stressante o traumatica, sia quelli cognitivi ed emotivi che quelli comportamentali e neurofisiologici, tanto da essere considerata sovrapponibile alla tradizionale psicoterapia cognitivo-comportamentale,con il vantaggio di essere più veloce. Non ha controindicazioni, perché si basa su un processo neurofisiologico naturale, legato all’elaborazione accelerata dell’informazione.
  • Mental coaching. La figura del mental coach può essere d’aiuto, ma non certo risolutiva di un disturbo post-traumatico da stress, la cui origine è molto complessa. Con il mental coach si può imparare a riacquistare un po’ di fiducia in se stessi, a porsi degli obiettivi e magari ad apprendere utili tecniche di rilassamento. È quanto testimoniato dalla Pellegrini. Il rilassamento e l’allenamento al rilassamento le hanno dato autocontrollo, una maggiore consapevolezza e gestione del corpo, delle emozioni e dei pensieri. L’importante è sapere come farlo affinché sia funzionale in quel preciso momento.

LA CENTRALINA DELL’ANSIA

Gli individui affetti da disturbo post-traumatico da stress (PTSD) producono livelli anormali di ormoni coinvolti nella risposta allo stress e alla paura. Il centro responsabile di questa risposta è l’amigdala, una piccola ghiandola endocrina posta alla base del cervello. Normalmente, in situazione di paura, l’amigdala si attiva producendo molecole di oppiacei naturali che riducono la sensazione di dolore temporaneamente. In persone affette da disturbo PTSD questa produzione si protrae invece a lungo anche dopo la cessazione dell’evento, causando l’alterazione dello stato emotivo.

RICORDI DOLOROSI

Nelle persone con PTSD vengono anche alterati i livelli di neurotrasmettitori che agiscono sull’ippocampo, generando così disfunzioni nella capacità di memoria e di apprendimento. La stessa causa sarebbe alla base degli eventi di ricordo improvviso e doloroso degli eventi traumatici. In questi soggetti il tempo sembra essersi fermato all’evento traumatico: essi lo rivivono costantemente, agiscono e sentono come se l’evento fosse ricorrente.

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