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BPCO: sotto controllo con tre farmaci

La BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) è una malattia dei polmoni dovuta a  enfisema e/o bronchite cronica che colpisce il 6-8% della popolazione italiana. Si tratta di una malattia complessa ed eterogenea. L’importante, dunque, è studiare per ogni paziente il trattamento più efficace. Se nelle forme meno gravi, caratterizzate da un limitato rischio di esacerbazioni, cioè di aggravamenti acuti della cronicità, l’associazione di due farmaci ad azione antinfiammatoria e broncodilatatrice può essere sufficiente, nei pazienti che presentano più esacerbazioni appare fondamentale il trattamento di partenza con tre farmaci associati.

L’associazione di fluticasone furoato/umeclidinio/vilanterolo per la BPCO

Grazie a questo approccio, come conferma lo studio IMPACT, si può ridurre il rischio di morte per tutte le cause. Il corpo infatti ha bisogno di ossigeno e se questo non è disponibile, come nel caso delle forme più serie, sono a rischio anche il cuore, l’albero circolatorio e altri distretti. Le ultime analisi post hoc dell’IMPACT ci dicono infatti che l’associazione precostituita tra di fluticasone furoato/umeclidinio/vilanterolo riduce significativamente, nella misura del 28%, il rischio di decesso per tutte le cause in questi pazienti rispetto all’associazione precostituita di due broncodilatatori.

Gruppo San Donato

La triplice terapia riduce le riacutizzazioni severe

«Questi risultati dicono che la triplice terapia è quella che riduce maggiormente la mortalità per causa cardiovascolare, respiratoria e correlata alla BPCO» spiega il Girolamo Pelaia, direttore della Clinica Pneumologica Universitaria e della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Università degli Studi di Catanzaro. «L’ipotesi più probabile e consistente è che tale rilevante effetto sulla riduzione della mortalità derivi principalmente dall’efficacia della triplice terapia nel diminuire le riacutizzazioni soprattutto severe, quelle cioè che richiedono ospedalizzazione».

La triplice terapia riduce il rischio di morte

I malati non sono tutti uguali. Ma esiste un fattore chiave condiviso che rappresenta un indice di gravità della BPCO e che presuppone un ottimale controllo della patologia. «La cronicità della BPCO» aggiunge Francesco Blasi, Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio all’Università degli Studi di Milano, «mina nel tempo la qualità di vita dei pazienti, gradualmente compromessa dal persistere dei sintomi tipici e, nella sua progressione, dalla comparsa di riacutizzazioni, fenomeni che colpiscono circa il 30% dei malati. Lo studio IMPACT dimostra chiaramente che grazie alla triplice terapia già in prima linea si può ottenere una riduzione del rischio di morte in questi malati».

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