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Quando si parla di pre diabete?

Un articolo sul Bmj riflette sui parametri che classificano il rischio di sviluppare il diabete: solo il 10-25 per cento dei pre-diabetici si ammalerà.

A sollevare il tema è stato John Yudkin, professore di medicina all’University College di Londra, che aveva definito il pre diabete «un’etichetta inutile» sulle pagine del prestigioso British Medical Journal.

Ormai si osserva che la categoria dei pre-diabetici, ovvero le persone che rischierebbero di ammalarsi di diabete di tipo 2 più delle altre, è oggi molto ampia. Da qui, la provocazione inglese: non è che i parametri per definire il pre-diabete sono troppo protettivi? Ne parliamo con Francesco Giorgino, ordinario di Endocrinologia e malattie metaboliche presso l’Università di Bari.

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Qual è la definizione di pre-diabete?

Nasce dall’esigenza di identificare le persone a rischio di diventare diabetiche. Il termine è improprio, non si riferisce a una condizione in particolare, ma può essere ricondotto a tre categorie, ciascuna associata a un fattore di rischio per il diabete e valori alterati di alcuni parametri ematici:

  1. La prima è la glicemia a digiuno quando raggiunge i 100-125 mg/dl,
  2. la seconda è la ridotta tolleranza al glucosio corrispondente a una glicemia dopo carico orale di glucosio a 140-200 mg/dl.
  3. Infine, il pre-diabete è rappresentato dall’emoglobina glicata che raggiunge il 6-6,49%.

Perché il termine sarebbe improprio?

Perché non significa che tutti i casi di pre-diabete sfocino nella malattia diabetica. Sappiamo che le persone che rientrano in queste tre fasce hanno una probabilità del 10-25% di manifestare il diabete di tipo 2 entro 5 anni. Solo, però, se non accettano di modificare lo stile di vita che li ha condotti ad avere uno o più fattori di rischio. Intervenendo tempestivamente è invece possibile ridurre questo rischio.

Se i limiti per definire il rischio di diabete sono troppo ampi, quasi tutti possiamo essere etichettati come pre-diabetici?

Sicuramente categorie troppo ampie abbracciano una serie di persone che, di fatto, non svilupperanno il diabete. In paesi come la Cina o gli Uk una significativa parte della popolazione è considerata a rischio. La provocazione degli inglesi pone l’attenzione sulla prevenzione.

Convincere una persona a rischio a cambiare il proprio stile di vita significa anche monitorarla nel tempo, assicurandosi che segua un regime alimentare corretto, perda peso o faccia attività fisica, ad esempio. E’ chiaro che le strategie preventive comportino dei costi per i sistemi sanitari nazionali e sarebbe utile discernere chi è più a rischio di altri, a fronte di alterazioni nell’esame del sangue.

Il pre-diabete è, comunque, un buon metodo predittivo?

Bisogna distinguere i diversi fattori di rischio per il diabete, alcuni ‘pesano’ sulla probabilità di ammalarsi molto più di altri. Ad esempio, i soggetti con ridotta tolleranza al glucosio hanno, in genere, anche un aumentato rischio cardiovascolare e sono più inclini a sovrappeso, obesità o dislipidemie. Anche la famigliarità per diabete è un fattore di rischio. Persone con più di un fattore di rischio, hanno evidentemente maggiori probabilità di diventare diabetiche.

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