Salute

Colecistite (cronica o acuta): cause, sintomi, diagnosi, cure

Focus di Fabrizio Magnolfi, primario dell'unità di gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell'ospedale San Donato di Arezzo

Focus a cura di Fabrizio Magnolfi, primario dell’unità di gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’ospedale San Donato di Arezzo.

La colecistite è un’infiammazione delle pareti della colecisti, detta anche cistifellea, e può decorrere in forma acuta o cronica, con sintomi variabili e cause differenti. La cistifellea  è quel piccolo sacco collegato al duodeno (il primo tratto dell’intestino), che serve come deposito per la bile, un liquido di colore giallo-verde che viene secreto dal fegato per permettere la digestione e l’assorbimento dei grassi.

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LE CAUSE DELLA COLECISTITE. Nel 90% dei casi, la colecistite è una complicanza della litiasi biliare o calcolosi, ossia la presenza di calcoli nella colecisti e/o nelle vie biliari: si parla in questo caso di colecistite calcolotica. La litiasi biliare è un disturbo abbastanza comune che colpisce tra il 10 e il 15% della popolazione italiana, ma soltanto uno-due pazienti su dieci con calcolosi della colecisti sviluppa un’infiammazione acuta della cistifellea. Perché la litiasi provoca colecistite? I calcoli, che sono come piccoli sassolini, possono incunearsi nel dotto cistico (il condotto biliare che pone in comunicazione la colecisti con il dotto epatico) o nell’infundibolo (una parte della cistifellea): l’ostruzione ostacola il deflusso della bile, che ristagnando (colestasi o stasi biliare) produce un insulto chimico o pressorio della tonaca mucosa della cistifellea, infiammandola. Esistono anche forme di colecistite alitiasiche (o acalcolotiche), che non si manifestano cioè per la presenza di calcoli biliari. La stasi biliare, che ne è alla base, ha altre cause, come sepsi (o setticemia), traumi addominali, allettamento prolungato, interventi chirurgici importanti, tumori, fibrosi, anomalie congenite e può essere favorita da diabete, infezioni (quali salmonella, tifo o citomegalovirus), eventi cardiaci acuti, anemia falciforme. La colecistite alitiasica o acalcolotica è più comune nei bambini, negli anziani e nei pazienti immunodepressi.

I SINTOMI DELLA COLECISTITE ACUTA. L’attacco di colecistite acuta si manifesta con dolore lancinante, che somiglia a quello procurato dalla colica biliare ma che dura più a lungo, anche più di sei ore. In genere il forte dolore compare nella parte alta e destra dell’addome e/o nella parte centro-superiore, estendendosi verso la schiena. Si possono spesso verificare anche inappetenza, nausea, vomito e febbre. Come riconoscere la colecistite acuta? Di solito la maggioranza delle persone colpite sente un dolore molto forte alla palpazione da parte del medico del quadrante addominale destro, che si accentua quando fa un respiro profondo (manovra o segno di Murphy). L’intensità del male non si correla necessariamente alla gravità della colecistite. In questo senso, in genere un sintomo più significativo è la febbre, bassa nelle forme lievi e sopra i 38°C, accompagnata da brividi, nelle forme necrotiche o purulente. Con il passare delle ore, i muscoli a destra dell’addome possono irrigidirsi.

I SINTOMI DELLA COLECISTITE CRONICA. La colecistite cronica, che può derivare da episodi ripetuti di infiammazione acuta o da un’irritazione cronica, può essere asintomatica o manifestarsi con sintomi blandi, come sensazione di peso addominale e di distensione, specie dopo pranzi o cene ricchi di grassi, eruttazione, nausea, lieve dolore al quadrante superiore destro dell’addome o posteriormente. La febbre non è presente.

L’ITTERO: è tipicamente correlato alle forme di colecistite litiasica in cui i calcoli si trovano nel coledoco, impedendo il deflusso enterico anche della bile di provenienza epatica diretta. Con l’ittero, la pelle assume la tipica colorazione gialla. L’ittero può dipendere amche da altri fattori, come la compressione della via biliare principale da parte di una cistifellea iper-distesa o da una raccolta ascessuale pericolosa.

LA DIAGNOSI. La palpazione dell’addome è il primo strumento per formulare la diagnosi di colecistite acuta, mentre è meno attendibile per quella cronica. Il medico utilizza la manovra di Murphy (o segno di Murphy): con la mano destra appoggiata a piatto sul quadrante superiore destro dell’addome viene compresso il punto colecistico (sotto la decima costola) mentre il paziente ispira profondamente. Se è presente una colecistite acuta, la manovra renderà il dolore più acuto e il paziente smetterà bruscamente di inspirare (in questo caso, il segno di Murphy viene definito positivo). Se invece si tratta di una colecistite cronica o di una calcolosi, il segno sarà più sfumato. Le conferme diagnostiche della presenza di una colecistite arrivano anche dagli esami del sangue, attraverso l’aumento dei leucociti neutrofili e della Pcr (proteina C-reattiva), e soprattutto dall’ecografia: estremamente affidabile, ha un’elevata accuratezza diagnostica perché rileva sia l’ispessimento parietale della colecisti dovuto all’infiammazione, sia la presenza di eventuali calcoli. Si può ricorrere a una Tac o a una risonanza magnetica se vi è il sospetto che i calcoli che hanno causato la colecistite acuta possano danneggiare anche i tessuti a contatto con la cistifellea, causando un ascesso epatico o la perforazione del peritoneo (la membrana che riveste l’intestino), determinando così una peritonite biliare.

I PERICOLI. In caso di colecistite acuta la febbre alta, l’aumento considerevole dei globuli bianchi e la cessazione delle contrazioni ritmiche dell’intestino (ileo) possono essere sintomo della presenza di ascessi nell’addome nei pressi della cistifellea, che potrebbero essere causati dalla cancrena (morte dei tessuti) o dalla perforazione della colecisti stessa.

I FARMACI. Analgesici e antinfiammatori vengono utilizzati per ridurre il dolore durante un attacco di colecistite acuta o cronica. Al paziente viene subito sospesa l’alimentazione per via orale, e viene alimentato per via parenterale. Molto importante è la terapia antibiotica, per ridurre il rischio di infezione, che interviene nel 55-60% dei casi di colecistite acuta ed è causata dall’infiammazione. Se non viene fatto un intervento chirurgico, e la colecistite viene curata solo con i farmaci, di solito la degenza in ospedale è di 10-14 giorni.

L’INTERVENTO. L’intervento si chiama colecistectomia e prevede l’asportazione della cistifellea. Si esegue in anestesia generale e può essere fatto sia utilizzando la tecnica classica sia quella laparoscopica. Con quest’ultima vengono praticati tre o quattro piccoli tagli (di 0,5-1 centimetro) nell’addome e la degenza in ospedale è di due-tre giorni, contro gli otto-dieci dell’intervento classico. Oggi la tecnica d’elezione per la colecistectomia è quella laparoscopica, utilizzata per la prima volta in Francia nel 1987: è considerata il gold standard, sia perché permette di completare l’intervento in circa 45 minuti, sia per la notevole riduzione della degenza ospedaliera. Fattori di rischio sono l’età avanzata, la presenza di ostruzione con esplorazione del dotto coledoco e la necessità di operare in urgenza e non in elezione. La tecnica classica ad addome aperto è preferita in caso di grave peritonite o di estesa neoplasia della colecisti. In alcuni casi (circa il 5%, con percentuali che però salgono in caso di colecistectomia d’urgenza a seguito di una colecistite acuta) durante l’intervento in laparoscopia è necessario effettuare una conversione, e passare alla tecnica classica: la conversione può avvenire a seguito del riscontro di complicazioni, come la presenza di aderenze, dovute a pregressi interventi, o di cirrosi epatica.

LA VITA SENZA CISTIFELLEA. Dopo l’asportazione della cistifellea il corpo si adatta a vivere senza: la bile passa direttamente dal fegato al duodeno, continuando a svolgere la sua funzione digestiva dei grassi. È importante fare attenzione all’alimentazione: è bene evitare o limitare i fritti, le carni, il burro, la maragarina, le uova (anche se non è confermato che le uova siano controindicate in pazienti che hanno subìto l’asportazione della cistifellea) e i formaggi troppo grassi, preferire latte parzialmente scremato e yogurt magro, consumare almeno un paio di porzioni di verdura al giorno. Per le prime settimane dopo la colecistectomia la dieta deve essere ipocalorica e ipolipidica: si devono preferire piatti semplici, poco elaborati, privilegiando carboidrati complessi e fibra, con riduzione drastica di grassi saturi e colesterolo. I cibi più ricchi di grassi possono essere reintrodotti nel regime alimentare con moderazione, a poco a poco, anche a seconda della reazione del singolo paziente: la tollerabilità a ciascun alimento è infatti soggettiva. Seguire un’alimentazione corretta è fondamentale anche se la cistifellea non è stata asportata e la colecistite, quindi, è stata curata solo per via farmacologica. In questo caso, molto importante è la regola dei cinque piccoli pasti: è bene non saltare la colazione, il pranzo, la cena, gli spuntini a metà mattina e a metà pomeriggio e mangiare a intervalli regolari. In questo modo si potrà mantenere la colecisti sempre attiva, evitando che la bile ristagni e che si possano formare i calcoli.

Fabrizio Magnolfi, primario dell’unità di gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’ospedale San Donato di Arezzo
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