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Troppi interventi chirurgici negati agli over-75

Per decidere se operare si usano ancora criteri “vecchi”, quando invece basterebbe valutare la velocità del cammino

«Povero vecchio, lasciamolo stare!». È questo l’atteggiamento che spesso prevale quando si tratta di decidere se operare un anziano con più di 75 anni. Gli stessi medici finiscono spesso con l’utilizzare criteri “vecchi” e desueti per valutare se il paziente è idoneo a finire sul tavolo operatorio, mentre basterebbe misurare la velocità del cammino per avere un quadro delle condizioni fisiche e del rischio di mortalità. È così che ogni anno, in Italia, decine di migliaia gli anziani si vedono “negare” un intervento. A denunciarlo è la Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGE), riunita a Roma in occasione del suo IV seminario nazionale.

I numeri illustrati dagli esperti accendono i riflettori su una realtà spesso misconosciuta. Ogni anno, in Italia, ci sono circa 366mila interventi chirurgici maggiori, di cui circa 140mila su over-75. Le persone in questa fascia di età hanno bisogno di operazioni quattro volte più degli altri, e con l’aumento della popolazione anziana ci si aspetta una crescita di un quarto del volume totale degli interventi.

Gruppo San Donato

Se si adottasse il test del cammino, afferma Sandro Boccanelli, presidente SICGE, le operazioni chirurgiche sugli anziani potrebbero aumentare del 25%. «L’atteggiamento “povero vecchio lasciamolo stare” è ancora prevalente», sottolinea l’esperto. Da un lato, abbiamo un numero crescente di «anziani che hanno bisogno di un intervento maggiore», dice Boccanelli, mentre dall’altro lato ci sono sempre più «tecnologie tagliate su misura proprio per la popolazione più fragile. Noi però tendiamo ad applicare criteri vecchi, come quante malattie ha l’anziano, mentre si è visto che tutto si può riassumere nella valutazione della forza. Mio padre, per fare un esempio, a 100 anni si è operato al femore».

Basterebbe “fare due passi”, insomma, per valutare il rischio cardiovascolare del paziente in vista dell’intervento. Il cosiddetto test del cammino può essere fatto semplicemente cronometrando il tempo impiegato dall’anziano per percorrere cinque metri. Uno studio recente, pubblicato sulla prestigiosa rivista Jama, indica che i pazienti che camminano ad una velocità tra 0,83 e 1 metro al secondo hanno una mortalità 1,77 volte superiore, e quelli con velocità inferiore a 0,83 metri al secondo hanno una mortalità 3,16 volte superiore, rispetto a chi cammina con una velocità superiore a un metro al secondo.

«Il test del cammino è una “variabile riassuntiva” sulla quale convergono molte caratteristiche associate all’invecchiamento, come la perdita di massa muscolare, le modificazioni dell’assetto ormonale, ma anche molte malattie», spiega Niccolò Marchionni, vicepresidente SICGE. «Se ci si chiede cos’è la fragilità – prosegue l’esperto – la risposta è che è una bassa performance neuromuscolare. Si può camminare piano, o avere uno scarso equilibrio se si ha un problema cerebrovascolare ma anche un iniziale Alzheimer, o se c’è malnutrizione o una malattia cronica invalidante. Tutto converge nei parametri fisici».

In Italia, ricorda Marchionni, è in corso uno studio che coinvolge sei centri per valutare se il rischio di complicazioni gravi possa essere previsto anche da altri semplici test che coinvolgono l’equilibrio, come la capacità di alzarsi da una sedia a braccia conserte. «Bisogna fare un valutazione molto attenta – spiega Boccanelli – in questa fascia di popolazione non dobbiamo pensare solo alla mortalità, ma anche alla disabilità indotta e alla riduzione dell’autosufficienza».

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