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Chemioterapia: l’ormone del sonno previene i dolori

La melatonina protegge le cellule nervose alleviando i sintomi: bene i primi test sui topi

I dolori provocati dalla chemioterapia potrebbero essere prevenuti grazie alla melatonina, l’ormone del sonno solitamente usato per combattere l’insonnia da cambio di fuso orario, il cosiddetto jet-lag. A suggerirlo è un esperimento condotto sui topi dai ricercatori scozzesi delle Università di Edimburgo e Aberdeen, che pubblicano i risultati su Journal of Pineal Research.

Un problema difficile

Lo studio si è concentrato sul dolore neuropatico indotto dalla chemioterapia (CINP), un problema che colpisce sette pazienti su dieci causando formicolii e sensazioni dolorose al tatto e alle basse temperature. Le conseguenze possono essere molto pesanti, tanto da rendere difficile perfino abbottonarsi una camicia o camminare a piedi nudi: la condizione può diventare così invalidante da costringere a ridurre la chemioterapia, con inevitabili ricadute sulla progressione del tumore. Il dolore, a volte, può persistere anche dopo la terapia, rendendo impossibile il ritorno al lavoro e il normale svolgimento delle faccende domestiche.

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Una soluzione semplice

Un aiuto potrebbe arrivare dalla melatonina: somministrata prima della chemioterapia, può prevenire l’insorgenza dei dolori, anche se non è in grado di contrastarli una volta che sono già comparsi. Gli esperimenti sui topi dimostrano che l’ormone del sonno attutisce l’impatto della chemioterapia sulle cellule nervose, proteggendo in particolare le loro “centraline energetiche”, i mitocondri. Cosa altrettanto importante, la melatonina potrebbe essere somministrata in maniera sicura, perché non sembra interferire con l’azione della chemioterapia, come dimostrano i test su cellule del tumore dell’ovaio e della mammella.

Dal topo all’uomo

«Questi risultati sono molto promettenti – commenta Helen Galley dell’Università di Aberdeen – soprattutto perché la melatonina è già usata in maniera sicura per trattare altre condizioni. Comunque c’è ancora molto da fare affinchè si possa dimostrare che funziona anche sulle persone sottoposte a chemioterapia». «Stiamo attivamente valutando uno studio clinico in fase iniziale – aggiunge Lesley Colvin, dell’Università diEdimburgo – per vedere se questi interessanti risultati prodotti in laboratorio possono essere traslati anche sulle persone che devono fare la chemio: è urgente trovare delle terapie che possano soddisfare i bisogni di questi pazienti ancora senza risposta».

Elisa Buson

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