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Infertilità: come cambiare il linguaggio per combattere lo stigma

Il manifesto lanciato da IVI Italia, dall'associazione Strada per un Sogno e dal movimento Oneofmany ha l'obiettivo di ridefinire il modo in cui si parla dell'infertilità, con maggiore empatia e rispetto nei confronti di chi la vive

«E voi quando ci pensate a un figlio? Devo dirvi come si fa?». «Ah, fate PMA? E di chi è colpa, tua o sua?». «PMA e adozione sono contro natura». «Sei un albero che non dà frutti». Queste sono solo alcune delle frasi pronunciate verso molte persone, e soprattutto verso le donne, che ricorrono alla medicina della riproduzione per avere un figlio. Il risultato di anni di stigma sociale intorno a certi argomenti è, talvolta, un linguaggio che ferisce coloro che vivono l’infertilità, che sminuisce e banalizza il loro percorso e le sfide che si trovano a dover affrontare.

Pazienti ed esperti firmano il manifesto del “Linguaggio della fertilità”

In Italia, l’infertilità riguarda il 15% delle coppie, circa una coppia su sette. Nonostante questo, capita ancora che la società, i media e perfino il personale sanitario parlino di questi temi in modo non adeguato e con poca sensibilità. Ecco perché IVI, leader mondiale in medicina riproduttiva, in collaborazione con l’associazione Strada Per Un Sogno e il movimento Oneofmany, ha realizzato un manifesto per cambiare il “Linguaggio della fertilità”.

Gruppo San Donato

Il manifesto, creato grazie alle testimonianze di donne e uomini che hanno scelto di condividere le proprie esperienze, è scaricabile sul sito ivitalia.it. È una guida e un vademecum per promuovere un linguaggio empatico, inclusivo e rispettoso e ridefinire il modo in cui l’infertilità viene comunicata, rappresentata e raccontata.

«Vogliamo essere un agente di cambiamento in modo che le persone con infertilità sentano il sostegno, l’empatia e la complicità di cui hanno bisogno per affrontare le loro circostanze nelle migliori condizioni. Condividere con la società come ci sentiamo, su quali frasi e come vorremmo essere trattati apre la porta al rispetto e alla complicità» dichiara Loredana Vanini, autrice del libro fotografico “Unadelletante” e dal 2019 fondatrice del movimento per l’infertilità Oneofmany, punto di riferimento in Italia per l’informazione, il supporto e l’assistenza alle coppie infertili.

Le parole hanno un peso

«lo sono una donna infertile e, prima di avere mio figlio, ho vissuto la poliabortività» racconta Martina,
paziente IVI Roma. «Durante gli anni di infertilità mi sono scontrata spesso con parole inopportune pronunciate da persone poco empatiche. Che poi ho capito con il tempo non essere crudeli o insensibili, ma piuttosto non abituate ad avere a che fare con questa condizione. Non lo fanno con cattiveria, dicono solo la prima cosa che viene loro in mente, non sapendo che di fronte hanno una persona che sta soffrendo terribilmente».

«Spesso chi soffre molto indossa una maschera per non lasciar trapelare il proprio dolore. Così il resto del mondo percepisce di sentirsi libero di dire qualsiasi cosa. Ho dovuto confrontarmi con frasi insensibili anche in riferimento ai miei aborti. Oggi con il mio bambino tra le braccia, ho finalmente quella forza di rispondere che mi è sempre mancata. E adesso rispondo sempre che Tommaso è il mio quarto figlio».

A sentirsi in colpa per non riuscire ad avere figli sono soprattutto le donne

«Ancora oggi è molto radicato il retaggio culturale che vuole la donna nella principale funzione di madre. Quindi, custode della procreazione e della cura della famiglia e dei figli. In questa visione l’infertilità è un fallimento della natura della donna», spiega Daniela Galliano, specialista in ostetricia, ginecologia e medicina della riproduzione, responsabile del centro PMA IVI di Roma. «Questa mentalità è talmente radicata nella nostra società che moltissime donne che vedo in visita si addossano la colpa dell’infertilità. Oppure mi parlano del giudizio che sentono di ricevere quando condividono il proprio percorso nella PMA».

Un linguaggio inadeguato alimenta i falsi miti sull’infertilità e sulla PMA

«Esistono veramente tantissimi falsi miti e pregiudizi sulla fertilità e sulla procreazione medicalmente assistita. Penso che uno dei più radicati sia quello che associa le tecniche di PMA a pratiche contro natura. Questa è un’affermazione che mi ha sempre fatto riflettere sul significato delle parole e soprattutto sui danni provocati da un linguaggio poco attento e, appunto, ricco di giudizio nelle emozioni di chi le riceve. In generale, il tema della genitorialità è da sempre intrinseco di giudizio. Penso ad esempio alle donne che per scelta hanno deciso di non avere figli e che per questo vengono viste con sospetto o compassione o ancora accusate di essere egoiste», prosegue la specialista.

«La consapevolezza deriva dalla conoscenza e dall’informazione e nel nostro paese di informazione sulla salute riproduttiva se ne fa, purtroppo, ancora troppo poca. Stiamo vivendo nel paradosso per cui la società chiede alle coppie di fare figli, ma parallelamente non fornisce un’educazione su come tutelare la salute riproduttiva. Non informa su quali siano le cause principali dell’infertilità o su quali fattori possano influenzarla. Cerco sempre di creare consapevolezza intorno al tema della preservazione della fertilità, ma è importante che di tutela della salute riproduttiva se ne parli di più. Soprattutto nelle scuole e nelle università, quando l’informazione sulla prevenzione può veramente essere utile per intervenire nelle situazioni prima che diventino irreparabili».

Infertilità: l’importanza di un linguaggio libero da critiche o giudizi

«Credo che nel momento in cui la società in cui viviamo riuscirà a parlare di tematiche legate alla fertilità, alla salute riproduttiva, alle tecniche di procreazione medicalmente assistita con un linguaggio lontano da giudizi o critiche, ma con parole dirette a creare informazione e conoscenza, allora riusciremo davvero a trattare l’infertilità come una patologia, come è definita dall’OMS, e quindi anche a intervenire più tempestivamente nell’accesso alle cure».

«È fondamentale che le coppie si sentano a loro agio nel proprio percorso nella procreazione medicalmente assistita. Che si sentano libere di fare domande, chiedere informazioni, condividere le proprie emozioni per avere uno stato d’animo positivo e affrontare con maggiore serenità il percorso. Per questo è necessario che il personale sanitario riesca a creare empatia e sensibilità. Anche il tono di voce e la terminologia che si sceglie di utilizzare possono avere un enorme impatto nei pazienti. Ed è essenziale che le coppie, indipendentemente dalla fase del percorso in cui si trovano, abbiano la consapevolezza di non essere sole. E che acquisiscano la fiducia necessaria per parlare apertamente, senza timore di essere giudicate o fraintese», specifica Daniela Galliano.

Il cambiamento inizia dalle parole che usiamo

Ognuno di noi può contribuire, affinché le persone con problemi di fertilità non debbano mai provare senso di inadeguatezza o vergogna. Il linguaggio utilizzato per diagnosticare e descrivere l’infertilità ha un ruolo indispensabile per raggiungere questo obiettivo. «Potremmo cominciare a parlare di difficoltà di concepimento più che di sterilità o di mancato impianto invece che impianto fallito. Sembrano sfumature, ma non lo sono. Diventano messaggi di comprensione, vicinanza e accoglienza che fanno stare meglio l’altro», sottolinea la dott.ssa Vincenza Zimbardi, psicologa IVI Roma.

Anche quando non si sa cosa dire, ascoltare la persona o semplicemente chiederle come la possiamo aiutare è un modo per rispettarne il dolore e non farla sentire sola. È anche grazie alle parole che si creano nuovi modi di pensare: possono rafforzare una barriera oppure infrangerla. Motivo per cui usare quelle giuste può fare davvero la differenza e innescare il cambiamento di cui abbiamo bisogno.

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Aurora Pianigiani

Collabora con OK Salute e Benessere e si occupa di comunicazione in ambito medico-scientifico e ambientale. Laureata in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Firenze, si è formata nel settore dei media digitali e del giornalismo. Ha conseguito il Master in Comunicazione della Scienza e della Salute presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e contestualmente ha scritto articoli per testate giornalistiche che svolgono attività di fact-checking.
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