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«No ai compiti a casa». E’ giusto?

I genitori d'Oltralpe hanno lanciato quella che qualcuno ha già definito la seconda rivoluzione francese: quindici giorni senza compiti a casa. A partire da lunedì. «Perché chi l'ha detto che fanno bene e non male?». La domanda apre il blog della principale associazione di genitori delle scuole pubbliche: la Fcpe ha proposto il boicottaggio dei compiti a casa ricordando come una circolare del 1956 alle elementari li abbia vietati. Psicologi e addetti ai lavori nostrani si concentrano sul dibattito. «Serve equilibrio, attenzione però: dietro il boicottaggio dei compiti a casa, non c'è solo una ragione educativa, un diverso modello di insegnamento», spiega lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet.

I genitori d’Oltralpe hanno lanciato quella che qualcuno ha già definito la seconda rivoluzione francese: quindici giorni senza compiti a casa. A partire da lunedì. «Perché chi l’ha detto che fanno bene e non male?». La domanda apre il blog della principale associazione di genitori delle scuole pubbliche: la Fcpe ha proposto il boicottaggio dei compiti a casa ricordando come una circolare del 1956 alle elementari li abbia vietati. Psicologi e addetti ai lavori nostrani si concentrano sul dibattito. «Serve equilibrio, attenzione però: dietro il boicottaggio dei compiti a casa, non c’è solo una ragione educativa, un diverso modello di insegnamento», spiega lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet.

«Al bene dei ragazzi (narciso) si antepone talvolta quello dei genitori che da una parte vivono quel lavoro a casa come un intralcio, dall’altra temono il conflitto e delegano alla scuola ogni compito educativo (salvo poi criticare)». I compiti legati al sapere così come quelli che più hanno a che fare con le regole di vita e buona educazione: «Dall’insegnare a sapersi organizzare all’accettare un “no”, fino allo stare a tavola o con i compagni», continua lo psicoterapeuta. «All’asse genitore-insegnante è subentrato quello genitore-figlio, un patto di non belligeranza in cui mamma e papà hanno rinunciato alla divisa da genitore per indossare i panni dell’amico».

Gruppo San Donato

Per dirla come lo psicoterapeuta (e insegnante di filosofia) Antonio Piotti: «Stiamo decidendo le responsabilità di un modello educativo da costruire». Pensionato il modello Cuore e anche quello Gianburrasca, la tendenza è di costruire una scuola narcisistica: «Un luogo non di compiti e doveri, ma di gratificazioni e piacere. Che deve motivare, tirar fuori il talento e non deprimere con i compiti». Aggiunge Piotti: «In famiglia (slim o allargate, con poco tempo e tanti sensi di colpa) questo passaggio è già avvenuto: si è abdicato al ruolo autoritario (il padre, quando c’è, è amico, la mamma oltre a fare il papà fa anche i compiti) e adesso si vorrebbe dalla scuola lo stesso». Con un rischio: «Crescere ragazzi fragili (bulli o reclusi in casa) e incapaci di vivere».

Le cose più difficili per un genitore, ha rivelato ieri una ricerca Ipsos di Save the Children, sono non viziarlo, donargli tempo, farsi rispettare ed essere autorevole. Afferma Antonio Affinita, direttore generale del Movimento italiano genitori: «La polemica esiste anche da noi: dico no al disimpegno così come ai troppi compiti (anche alle mille attività assegnate dai genitori), ma ricordiamoci che il lavoro a casa insegna a sapersi gestire e l’asse genitori-insegnanti è fondamentale». Citando poi I no che aiutano a crescere di Phillips Asha aggiunge: «Tra il “vietato vietare” di sessantottina memoria e le madri tigri d’importazione cinese ci sono quei “no” forti e chiari che dobbiamo riscoprire. Anche quando costa fatica».

Fonte Corriere della Sera

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