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Ho la discalculia, non so fare i conti

Maria Grazia De Terlizzi, 70 anni, di Coriano (Rimini). Soffre di discalculia, ma alle scuole elementari nessuno l'aveva mai capito, tanto che i genitori non le fecero proseguire gli studi dopo la bocciatura in prima media. A 30 anni Maria Grazia ha ripreso in mano i libri e si è diplomata, venendo poi a conoscenza dell'esistenza della discalculia. Ha fondato un’associazione contro la depressione dal nome emblematico, «Insieme è meglio», di cui è stata presidente per 20 anni. Vedova, ha due figlie, Patrizia e Roberta, ha avuto una profumeria nel centro di Rimini e ora è in pensione.«Quante volte mi sono sentita ripetere questa frase dalle maestre: «Maria Grazia le persone come te non dovrebbero proprio entrare a scuola, sei un’alunna incapace e svogliata». Quante volte avrei voluto urlare, sentendola, e invece l’unica cosa che riuscivo a fare era mettermi in un angolo a piangere, in silenzio, accompagnata dalle risate dei compagni.

Maria Grazia De Terlizzi, 70 anni, di Coriano (Rimini). Soffre di discalculia, ma alle scuole elementari nessuno l’aveva mai capito, tanto che i genitori non le fecero proseguire gli studi dopo la bocciatura in prima media. A 30 anni Maria Grazia ha ripreso in mano i libri e si è diplomata, venendo poi a conoscenza dell’esistenza della discalculia. Ha fondato un’associazione contro la depressione dal nome emblematico, «Insieme è meglio», di cui è stata presidente per 20 anni. Vedova, ha due figlie, Patrizia e Roberta, ha avuto una profumeria nel centro di Rimini e ora è in pensione.

«Quante volte mi sono sentita ripetere questa frase dalle maestre: «Maria Grazia le persone come te non dovrebbero proprio entrare a scuola, sei un’alunna incapace e svogliata». Quante volte avrei voluto urlare, sentendola, e invece l’unica cosa che riuscivo a fare era mettermi in un angolo a piangere, in silenzio, accompagnata dalle risate dei compagni.

Gruppo San Donato

Ancora me le ricordo mentre io stavo davanti alla lavagna e guardavo quei numeri con gli occhi gonfi di lacrime, loro non capivano, e in realtà non lo capivo nemmeno io, l’unica cosa che sapevo era che per me era impossibile decifrarli.

I miei genitori non erano da meno. È vero, i tempi erano diversi, io sono nata nel 1942, se non andavi bene in classe, non esistevano molte soluzioni: quella dei miei fu di ritirarmi dalla scuola in prima media, dopo la prima bocciatura.

Non era l’italiano il mio problema, io amavo leggere e scrivere, erano i numeri, quegli incomprensibili minuscoli geroglifici che per me non riuscivano ad avere alcun significato.

Ricordo benissimo l’umiliazione di essere tolta da scuola, e le frasi di mio padre: «Trovati un marito ricco, è l’unica cosa che puoi fare». Anche lui pensava che non fossi intelligente e che la mia unica risorsa potesse essere la bellezza che la natura mi aveva fornito. Mia madre invece, nonostante la sua anaffettività, mi disse una frase, che fu il mio mantra per la vita: «Devi fare un lavoro che ti piaccia, e vivere di quello, non ti appoggiare mai a nessuno, l’indipendenza economica è la base per avere una vita se non felice, almeno serena».

Penso che la bocciatura in prima media fu una delle prime cause del mio malessere fisico e mentale, la mia depressione cominciò da lì, mi sentivo incapace perché mi facevano sentire tale, ma nonostante tutto cercai di trarre insegnamento dalle parole della mia mamma. Riuscii ad aprire una profumeria in pieno centro, e tutti quelli che venivano mi facevano i complimenti per il mio lavoro, al punto che per più di un anno vinsi il premo come miglior negozio della mia città.

I problemi cominciarono ad arrivare quando iniziai a maneggiare i soldi, non riuscivo a fare i conti corretti, sbagliavo a dare i resti, e non sempre davanti trovavi persone oneste che te lo facevano notare. Risolsi questo problema assumendo una commessa addetta alla cassa, e i problemi rientrarono.

Ma la vera svolta arrivò nel 1978, quando a 30 anni decisi di riprendermi quello che mi era stato tolto: il diritto all’istruzione. Mi iscrissi in una scuola privata, superai le scuole medie in un solo anno, e riuscii a prendere il diploma di maturità dell’istituto magistrale, con voti altissimi nelle materie letterarie, con voti più bassi in quelle scientifiche (la matematica, il mio tallone d’Achille…), ma comunque vincendo la sfida contro tutti quelli che pensavano di me che fossi una stupida.

Poi arrivò l’incontro con una rivista e per la prima volta lessi qualcosa a proposito della discalculia, dei suoi sintomi, dei problemi. Mi ricordo la definizione sul giornale come l’avessi letta oggi:  «Disturbo relativo all’apprendimento del sistema dei numeri e dei calcoli in assenza di lesioni neurologiche e di problemi cognitivi più generali, si manifesta nonostante un’istruzione normale, un’intelligenza adeguata, un ambiente culturale e familiare favorevole».

Non ero io a essere sbagliata, ma tutti i dottori che mi avevano visitato e non avevano capito il mio problema: soffrivo di discalculia e non avevo deficit mentali, solo un disturbo specifico legato al sistema dei numeri del calcolo.

In pratica, dopo essere riuscita a diagnosticarmi questo problema da sola, il mio senso di inadeguatezza svanì, all’improvviso c’era una risposta a tutti i miei perché.

Tutto questo mi ha dato la forza di fondare un’associazione contro la depressione dal nome emblematico, «Insieme è meglio», di cui sono stata la presidente per venti anni, perché nessun altro nelle mie stesse condizioni  dovesse trovarsi a combattere una doppia battaglia: quella contro l’ignoranza e la cattiveria della gente, e quella contro la solitudine in cui questa problema , tutt’oggi poco conosciuto e difficilmente diagnosticabile, riesce a trascinarti.

Se ci sono riuscita io, che oggi ho 70 anni, mi sono diplomata a 30, e sono nata nel 1942, ce la possono fare tutti: insieme è meglio.

Maria Grazia De Terlizzi (testimonianza raccolta da Irene Vella)

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