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Andrea Delogu: «In analisi per capire me stessa»

«Sono nata a San Patrignano, dove i miei genitori si erano disintossicati, e ho vissuto protetta dalla comunità per dieci anni. Una volta uscita, mi sono scontrata col mondo reale: mi ha aiutata la terapia junghiana»

Sarà che ho avuto un’infanzia decisamente diversa da quella della maggior parte degli altri bambini. Sarà anche che sono da sempre fan di Woody Allen e ho visto tutti i suoi film. Fatto sta che l’idea di andare in analisi ha iniziato a frullarmi in testa molto presto. Poco dopo essere uscita da quel mondo atipico in cui ho vissuto fino a dieci anni. Rendendomi conto all’improvviso che, fuori di lì, la vita vera era tutta un’altra cosa.

Sono nata e cresciuta a San Patrignano, la comunità di recupero per tossicodipendenti sulle colline riminesi, dove i miei genitori si erano conosciuti e innamorati dopo essersi impegnati in un percorso di disintossicazione. Un piccolo mondo protetto, dove ci si conosceva tutti, non esisteva il denaro e si dormiva con la porta aperta. Era così che io lo percepivo, ancora troppo piccola per capire le storie difficili e dolorose che invece racchiudeva.
Avevo 10 anni quando i miei genitori decisero, a causa di problemi ormai ingestibili e per darmi la possibilità di crescere nel mondo «fuori», di uscire dalla comunità e trasferirsi in una casa tutta nostra. Mi sono improvvisamente resa conto che là fuori c’era un mondo completamente diverso, molto più grande e caotico, vorticoso e, alcune volte, anche pericoloso. Un mondo reale di cui dovevo imparare velocemente le regole, comprese le più banali, come fare attenzione ad attraversare la strada, visto che in comunità non circolavano auto o imparare a fare la spesa senza trovare il pranzo sempre pronto in tavola. E l’aver realizzato che la normalità non era quella in cui avevo sempre vissuto mi ha generato in testa una sorta di piccolo corto circuito.

Gruppo San Donato

Più il tempo passava e più avvertivo un bisogno prepotente di guardarmi dentro, di capire perché vivevo sentimenti e stati d’animo contrastanti, di individuare la mia strada. Ma poiché i costi di una terapia analitica erano proibitivi per una ragazzina che iniziava in quel momento ad affacciarsi al mondo del lavoro, ho scelto la via del teatro, che mi permetteva di guardarmi dentro, di toccare corde profonde, di portare alla luce emozioni inimmaginabili, di imparare gradualmente a espormi.
Quattro anni di palcoscenico mi hanno aiutata a capire molto di me stessa, e mi hanno portato alla decisione di scrivere un libro sulla mia storia con Andrea Cedrola, un amico di cui mi fidavo ciecamente e che sapevo non mi avrebbe mai giudicata. Quattro anni di ricerche, interviste e recupero di atti processuali diedero vita a La Collina, nel quale ho ripreso il mano il mio passato mettendolo nero su bianco. E finalmente ero pronta ad affrontare un percorso di analisi profonda. Ho scelto la terapia junghiana, e all’inizio è stato davvero difficile affrontare a muso duro tutta quella parte di vissuto che avevo cercato di accantonare per non soffrire. Ma, poco alla volta, mi faceva sempre meno paura. E mi liberava da un fardello che era tempo di lasciare.

Una consapevolezza che per prima cosa mi ha permesso di migliorare il rapporto con i miei genitori, di comprendere le loro scelte, di apprezzare gli sforzi fatti per me e di legarmi a loro più di prima. Ho imparato che dietro qualunque comportamento discutibile, fosse anche la scortesia del vicino di casa che non ti saluta, può celarsi qualcosa di molto profondo.

Non ho più paura di sbagliare, di accettare le mie debolezze e il mio incessante bisogno di dimostrazioni di affetto. E ho sempre più voglia di fare il mio lavoro di conduttrice e comunicatrice creando empatia col pubblico, cosa possibile solo riuscendo a essere me stessa, anche di fronte a una telecamera. Non credo sia un caso che la mia carriera abbia iniziato a decollare proprio da quando mi sento più libera e serena. E per questo continuo, a tre anni dalla prima volta, a sottopormi alle sedute analitiche una volta a settimana. Non la vedo più come il mezzo per curare un disagio, ma come uno studio continuo su me stessa e sul mio percorso di vita. E mi spiace che a causa di prezzi troppo alti molte persone non ne possano usufruire, dovendo ricorrere a medicinali che nascondono il sintomo del malessere invece di azzerarne la causa.

Andrea Delogu

Testimonianza raccolta da Grazia Garlando per OK Salute e benessere ottobre 2016

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